Ovviamente non è una novità. Dal 2015 più di 10mila persone sono state uccise in Burkina Faso mentre gli sfollati superano i due milioni.
Tuttavia sembra proprio che il 2023 si vada caratterizzando, fin dai primi giorni di gennaio, per una recrudescenza degli attacchi jihadisti nel nord del Paese. Attacchi che la presenza francese finora non ha saputo (o voluto?) contrastare adeguatamente.
Il 4 febbraio le vittime accertate di un attacco erano state diciotto. Andavano ad allungare la lista (una cinquantina in totale, uccise sia in combattimento, sia dopo essere state sequestrate) di una settimana particolarmente sanguinaria.
Il 20 febbraio, calcolando anche quelli uccisi nei due giorni precedenti, erano oltre settanta i soldati burkinabé uccisi non lontano dalla frontiera con il Mali.
Senza dimenticare che l’8 febbraio (mentre quindici persone venivano uccise nei pressi di Kaya in un altro attacco) anche due esponenti di Medici senza frontiere (un autista e un addetto alla logistica) erano stati assassinati sulla strada tra Dédougou e Tougan.
La situazione risultava tanto grave da indurre le autorità a imporre il copri-fuoco (dalle ore 22 alle ore 5 del mattino) dal 3 al 31 marzo sia nel Nord che in altre due province esposte alle operazioni jihadiste: Koulpelogo, nella regione del Centro-Est (alle frontiere di Ghana e Togo) e Bam, nella regione del Centro-Nord.
In questo arco di tempo viene severamente vietata la “circolazione dei veicoli a quattro e due ruote, dei tricicli e delle biciclette”. Quanto alla popolazione è invitata a “al rispetto di questa decisione e a restarsene a casa propria nelle ore e date indicate”.
In altre due province entrava in vigore un copri-fuoco più breve, dal 5 al 20 marzo. Veniva inoltre prolungato di tre mesi il copri-fuoco nelle regioni dell’Est (da mezzanotte alle 4 del mattino) decretato ancora nel 2019.
Nel frattempo le già deteriorate relazioni con Parigi subivano un ulteriore peggioramento. Il discorso di Macron del 27 febbraio non veniva apprezzato dal capitano Ibrahim Traoré che con una nota esprimeva un chiaro dissenso rispetto alla “nuova strategia africana” della Francia. Preludio ad una ulteriore, se non definitiva, rottura tra l’Esagono e la sua ex colonia.
Migliaia di persone erano scese in piazza nella capitale Ouagadogu protestando contro l’imperialismo francese e a sostegno del governo di transizione guidato da Traoré (alcuni anche inalberando bandiere russe). Chiedendo la rapida partenza delle forze speciali francesi ancora presenti nel paese (la task force dell’operazione Saber, ufficialmente conclusa in febbraio).
Il clima incandescente non impediva il 25 febbraio l’apertura a Ouagadougou del 28° Festival panafricano del cinema e della televisione(Fespaco, biennale) con ben 170 opere in concorso. Con una certa dose di ottimismo (e nonostante i due recenti colpi di Stato, rispettivamente nel gennaio e nel settembre 2022) il tema scelto quest’anno era quella della “PACE”. Tra i Paesi partecipanti, oltre naturalmente al Burkina Faso, Camerun e Tunisia con due film ciascuno. Presenti anche Nigeria, Mozambico, Angola, Kenya, Senegal, Egitto, Algeria, Maurizio, Marocco e anche Repubblica Dominicana.
Alcuni film sono stati presentati in altre località (Kaya, Dédougou…) dove vivono molti sfollati dalle zone sotto il tiro jihadista per dar loro la possibilità di partecipare.
Gianni Sartori
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