Povertà e guerra tengono l’Ucraina in una morsa. Un anno dopo le proteste di Maidan l’euforia è svanita. Al paese manca la prospettiva.
(Delf Bucher) Sulle tabelle delle agenzie di cambio le cifre oscillano di giorno in giorno. Nel giro di pochi mesi il corso della valuta ucraina si è dimezzato rispetto all’euro. Nel 2014 l’inflazione ha raggiunto il 30% e le tasse militari gravano su ogni entrata. Un incontro con il vescovo riformato Sandor Zan Fabian, pastore della minoranza ungherese di confessione evangelica.
Pensionati in povertà
Sandor Zan Fabian prova a descrivere che cosa significhi per le singole persone l’attuale situazione di povertà: “Un pensionato con una pensione equivalente a trenta euro al mese deve già spenderne un terzo per comprare il pane. Se deve aggiungerci un medicamento non è più in grado di pagare la bolletta della corrente”.
Anche se al telefono le rughe sulla fronte del vescovo non sono visibili, la sua disperazione è palese: “Non siamo nemmeno più in grado di somministrare vaccini ai bambini”. E il religioso, che viaggia per il paese, lo sa bene: in altre regioni la situazione è persino più grave che in Transcarpazia, dove è alla guida di 100.000 ucraini riformati di lingua ungherese.
La chiesa in soccorso
Per molte persone la chiesa rappresenta un’ancora di salvezza. Le sue mense per i poveri sono prese d’assalto. Alla rete diaconale dei riformati ungheresi partecipa anche l’Aiuto delle chiese evangeliche svizzere (ACES/HEKS). A decidere chi riceve aiuto è il grado di bisogno, non la confessione religiosa. “Davanti alla fame siamo tutti uguali”: così spiega il vescovo la regola di non destinare gli aiuti esclusivamente alla minoranza.
Il vescovo Zan Fabian sottolinea inoltre: “Viviamo qui da secoli in piena armonia con ruteni, russi, sloveni e ucraini”. La convivenza pacifica nella Transcarpazia – mosaico di minoranze provenienti da Polonia, Ungheria, Romania e Slovacchia -, funziona. Ma come reagiscono i giovani ungheresi quando vengono chiamati alle armi? Su questo il vescovo diplomaticamente tace.
Matthias Herren, delegato dell’ACES/HEKS per l’Europa dell’Est, che ha visitato di recente la Transcarpazia, dice invece: “Non c’è praticamente più nessun giovane ungherese che vada ancora al servizio militare”. Perché si è sparsa la voce di quel che succede agli arruolati: equipaggiamento insufficiente, cattiva coordinazione, i soldati devono pagarsi da sé abbigliamento e cibo. Grazie alla possibilità di ottenere un passaporto ungherese possono in qualsiasi momento rifugiarsi all’estero.
L’ambito passaporto
Non sono soltanto gli ungheresi a opporsi all’esercito. Jürgen Kräftner, che vive in Ucraina dal 1996, dice: “Da noi nei villaggi quasi nessuno si presenta alla visita militare. I giovani spariscono”. Alcuni sono riusciti a procurarsi un passaporto ungherese. “Questo gli permette inoltre di accedere al mercato del lavoro dell’Europa occidentale”. Kräftner organizza progetti sociali per la “rete Svizzera-Transcarpazia”. Un anno fa con il suo gruppo musicale Hudaki ha suonato a Kiev in piazza Maidan per celebrare il cambiamento. Continua a sperare nella svolta. Ma la guerra blocca tutte le riforme. Si rivela quindi fondata la sfiducia della maggioranza della popolazione: lo Stato è marcio e corrotto. (da reformiert.; trad. it. G. M. Schmitt/voceevangelica.ch)
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