Bloccare le armi russe per Assad, l’autogol occidentale

img-_innerArtFb-_antonovLe pressioni di Washington su greci e bulgari hanno avuto successo e i velivoli cargo militari che da giorni stanno portando mezzi e consiglieri militari in Siria per rafforzare l’esercito di Bashar Assad non potranno più sorvolare lo spazio aereo dei due Paesi europei.

Un portavoce del governo greco ha fatto sapere ieri che i cargo russi diretti in Siria non sorvoleranno più lo spazio aereo della Grecia. La decisione comunicata da Mosca di scegliere rotte alternative è arrivata dopo che gli Stati Uniti avevano lanciato un appello ad Atene perché negasse il suo spazio aereo per i voli sospettati di trasportare armi per il regime di Bashar Assad.

Già il 5 settembre l’ambasciata statunitense ad Atene aveva chiesto di proibire il transito degli aerei ma le autorità greche avevano risposto negativamente adducendo le ottime relazioni con la Russia. Evidentemente Washington ha trovato nelle ultime ore forme di pressioni convincenti su una Grecia che, dopo anni di crisi economica e politica, non ha più alcuna sovranità nazionale.

Anche la Bulgaria ha negato l’uso del proprio spazio aereo ai cargo russi con aiuti diretti in Siria. Lo ha reso noto una portavoce del ministero degli Esteri di Sofia affermando che “abbiamo sufficienti informazioni per nutrire seri dubbi sul carico di questi velivoli” ha aggiunto in riferimento alla possibilità che gli aerei trasportino anche armi per il regime.

Armi però necessarie a combattere l’ISIS e i qaedisti che dovrebbero essere anche nemici dell’Occidente e degli Stati Uniti. Il condizionale è d’obbligo a giudicare dalla politica statunitense che in Medio Oriente ha superato in ambiguità persino quella dei Paesi arabi.

Mosca ha sempre utilizzato queste rotte per portare aiuti umanitari e militari in Siria. Il Cremlino non nega l’invio di armi e consiglieri militari (pare una quarantina anche col compito di fornire a Damasco le informazioni d’intelligence e le immagini riprese dai satelliti russi) che non dovranno combattere ma “solo insegnare alle truppe governative  a impiegarle”, come ha detto la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, ribadendo che “la Russia non ha mai fatto segreto della sua cooperazione tecnico-militare con la Siria”. La stessa portavoce ha poi affermato che la Russia potrebbe prendere inconsiderazione delle “misure extra per intensificare gli sforzi nella lotta al terrorismo” in Siria, “ma solo sulla base del diritto internazionale”. La scorsa settimana Vladimir Putin aveva definito “prematuro” parlare di un intervento diretto di truppe russe nel conflitto siriano.

Una fonte russa ha detto al quotidiano arabo al Hayat che l’obiettivo di Mosca è “mantenere l’equilibrio militare in Siria e prevenire il collasso dell’esercito regolare, per garantire un compromesso politica che prevede l’insediamento di un organo di governo transitorio sulla base della dichiarazione di Ginevra”. Un’altra fonte ha detto che il coinvolgimento russo include l’invio di alti ufficiali e un certo numero di piloti, per condurre attacchi aerei, oltra alla consegna di un numero di cacciabombardieri inclusi gli intercettori Mig31, inutili contro i ribelli ma essenziali in caso di attacchi al regime da parte dei jet della Coalizione.

Con il rafforzamento delle posizioni militari russe in Siria c’è il rischio di un “confronto” con le forze della coalizione internazionale guidata dagli Usa, ha detto ieri con estremo sprezzo del ridicolo il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. “Gli Stati Uniti sono preoccupati per le notizie sul dispiegamento da parte della Russia di ulteriore personale militare e di aerei in Sira – ha affermato Earnest – queste azioni potrebbero far aumentare il numero dei morti, potrebbero far aumentare i flussi di rifugiati e il rischio di un confronto con la coalizione anti-Isis che sta operando in Siria”. Se venisse intensificato il sostegno militare di Mosca al governo siriano, ha rincarato Earnest, “sarebbe destabilizzante e controproducente per gli interessi della comunità internazionale”.

Frasi che confermano come l’amministrazione Obama sia in stato confusionale oppure, come è più probabile, persegua un caos di cui stiamo già pagando il conto noi europei. Bashar Assad è in guerra con ribelli islamisti, qaedisti e Stato Islamico e ha finora consentito ai jet della Coalizione di sorvolare senza ostacoli il suo spazio aereo accettando una forte e umiliante limitazione alla sua sovranità. Se Washington teme che gli aiuti russi possano minacciare la Coalizione significa che gli alleati prevedono di attaccare Damasco e non l’ISIS che in un anno hanno colpito in modo così blando di consentire ai jihadisti di conquistare intere province siriane.

Ostacolando le forniture di armi russe a Damasco, gli USA e l’Occidente si schierano ancora una volta con i jihadisti che Turchia e monarchie del Golfo vorrebbero vedere al governo in Siria. Se così non fosse non si spiegherebbe perché Emirati Arabi, Arabia Saudita e Qatar hanno inviato 30 mila militari in Yemen a combattere i ribelli sciiti Houthi mentre contro l’ISIS non hanno effettuato che sporadiche azioni aeree per lo più senza l’impiego di armi.

Quanto ai riflessi sui flussi di immigrati clandestini diretti in Europa è il caso di ricordare agli Stati Uniti che i siriani in fuga provengono per lo più dalle zone “liberate” da ISIS , qaedisti e salafiti e solo in minima parte (per lo più giovani che vogliono sottrarsi alla leva militare) dal quel 30 per cento di territorio controllato dal regime ma abitato da 12 milioni di siriani. Su 18 milioni di abitanti della Siria di prima della guerra 4 milioni sono fuggiti all’estero e 7 milioni sono sfollati all’interno del Paese.

Se la Siria venisse “liberata” da Assad diventerebbe senza alternative uno Stato islamico retto dalla sharia imposta da ISIS e al-Qaeda e i fuggitivi diretti in Europa supererebbero  i 10 milioni facendo impallidire per dimensioni anche l’esodo dei sud vietnamiti che nella seconda metà degli anni ’70 scapparono con ogni mezzo dal regime comunista.

Non saranno certo le armi russe a far aumentare i flussi migratori. Anzi, il loro impiego a difesa della fascia costiera ha l’obiettivo di proteggere le popolazioni sciite di quella regione (roccaforte del regime) e la base navale russa di Tartus dai qaedisti dell’Esercito della Conquista (che riunisce salafiti, fratelli musulmani e qaedisti con il supporto turco, saudita e del Qatar) che premono sulle alture che circondano il porto di Latakya.

Ostacolare il flusso di armi russe in questa regione, come fanno americani, turchi e arabi col complice silenzio dell’Europa, significa schierarsi con i tagliagole islamici e favorire il massacro di centinaia di migliaia di siriani sciiti. Del resto affermare, come fa la Casa Bianca, che le armi russe  destabilizzerebbero la Siria è ridicolo. La Siria è stata fatta a pezzi da turchi, arabi e americani che da anni armano e finanziano i ribelli. Abbiamo già dimenticato che l’anno scorso le milizie dell’ISIS hanno conquistato Mosul e il nord dell’Iraq imbracciando le armi che arabi e CIA avevano fatto arrivare attraverso la Turchia ai cosiddetti “ribelli moderati” siriani?

Più delle armi e dei consiglieri militari russi l’Occidente dovrebbe preoccuparsi dei successi dell’ISIS che conquista posizioni in tutto il Paese inclusi i sobborghi di Damasco e dell’offensiva dei qaedisti che pare abbiano preso la base aerea di Abu al Dohur, dive le truppe siriane erano sotto assedio da due anni. Qualcuno in Europa sembra finalmente svegliarsi ribellandosi alle ambiguità arabo-americane. Non si tratta tanto di Francia e Gran Bretagna il cui intervento aereo contro l’ISIS esteso anche alla Siria non influirà molto sul conflitto considerando che le due potenze europee non schierano più di due dozzine di velivoli e droni da combattimento in Medio Oriente.

Segnali di pragmatismo giungono invece da Spagna e Austria. A Teheran il ministro degli esteri spagnolo, Josè Manuel Garcia Margallo, ha detto senza mezzi termini che “è giunto il momento di avviare negoziati con il regime di Bashar al Assad”.Gli ha fatto eco da Dubai il collega austriaco Sebastian Kurz:”abbiamo bisogno di un approccio pragmatico che includa il coinvolgimento di Assad nella lotta contro il terrore dell’Isis” aggiungendo che contro l’ISIS vanno coinvolti anche Russia e Iran.

Vale la pena sottolineare che il ministro Kurz aveva riferito il monito espresso sabato scorso al vertice Ue di Lussemburgo dal ministro degli Esteri macedone, Nikola Poposki per la presenza di miliziani jihadisti e foreign fighters nelle masse di immigrati fuori controllo nei Balcani. Le autorità macedoni ne hanno individuato alcuni (anche di origine balcanica) veterani del jihad siriano, iracheno e afghano. Una notizia che sui nostri media travolti dalla “foga buonista” non ha avuto molta eco.

di Gianandrea Gaiani | Lanuovabq.it

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