Il concetto di “complessità irriducibile” viene elaborato da Michael Behe, biochimico della Leighton University, per descrivere quei meccanismi il cui funzionamento dipende dall’interazione di molte parti. Questi sistemi non possono formarsi per lenta evoluzione, ma debbono necessariamente essere progettati e assemblati tutti in una volta.
Come afferma anche Michael Behe, troppi apparati delle creature viventi presentano una complessità irriducibile. Come esempio di “complessità irriducibile”, Behe porta il caso della trappola per topi. Costituita di cinque pezzi – una molla, la fagliela, il gancetto che tiene la tagliola in posizione, l’esca, la tavoletta su cui il tutto è inchiodato – è una macchina molto semplice. Ma la sua semplicità “non può essere ridotta”. Se manca un solo pezzo, non è che la trappola funzioni meno bene; non funziona affatto. Dunque, non può essersi formata a poco a poco, con aggiunte e miglioramenti; la trappola è stata progettata fin dall’inizio così. Molti apparati di esseri viventi sono ugualmente “irriducibili”. Non funzionano se mancano anche solo di un componente (1).
I meccanismi biochimici che vengono studiati a livello molecolare non sono altro che delle “macchine composte di molecole” e come tali vanno osservate.
Prendendo in esame una macchina semplice come la trappola per topi, si osserva che essa è composta da 5 parti (tagliola, molla, berretta, gancio e formaggio): togliendo una qualsiasi di queste parti, la trappola non funziona più, cioè la macchina non può essere resa più semplice di com’è.
Lo stesso discorso vale per le “macchine molecolari”, e Behe per dimostrarlo ha preso in esame il flagellum, il ciglio degli organismi monocellulari che funziona come una sorta di “motore fuori bordo”.
Gli evoluzionisti considerano gli organismi monocellulari, come i batteri, le forme di vita più semplici e primitive, trovandosi al gradino più basso della scala evolutiva attuale.
In realtà non è così: le ricerche dei biochimici dimostrano che non c’è assolutamente niente di “semplice” e che tutt’altro che primitivi, i batteri rappresentano invece un caso di “miniaturizzazione”.
Il flagellum è un tipico caso di complessità irriducibile: è un meccanismo molto complesso, risultato dell’azione coordinata di ben 50 geni del DNA.
Semplificando al massimo la descrizione, esso risulta composto da 3 diverse proteine che danno luogo a diverse strutture e funzioni:
– la tubulina per i microtubuli;
– la nexina, che produce una sorta di adesivo gommoso;
– la dyneina che permette il movimento.
Le tre proteine hanno una funzione coordinata che soltanto nell’insieme compone il flagellum e ne permette il funzionamento. Esse devono necessariamente essere esistite tutte e tre sin dall’inizio, né possono essersi formate gradualmente per selezione naturale perché, nell’intertempo tra la formazione dell’una e dell’altra, il flagello sarebbe stato inutilizzabile, non avrebbe consentito il movimento e la struttura – o addirittura i batteri stessi – sarebbero stati esposti alla soppressione da parte della selezione naturale stessa, perché inadatti alla vita.
Un altro esempio, più facilmente comprensibile perché ci riguarda da vicino, è il meccanismo di coagulazione del sangue.
Esso prevede una cascata proteica composta da 4 proteine diverse, tutte concorrenti, in un delicato equilibrio, ad ottenere l’effetto coagulante in caso di emorragia. L’intero meccanismo, in realtà, coinvolge una dozzina di proteine che hanno funzione regolatrice, controllando che il coagulo si formi solo dove è necessario, smontandolo quando non è più utile ecc.
La cascata proteica necessita di tutte e 4 le proteine che la compongono ed è un esempio di complessità irriducibile, perché, se anche soltanto una delle proteine non fosse stata presente sin dall’inizio, negli individui portatori della cascata incompleta il meccanismo della coagulazione non avrebbe funzionato ed essi sarebbero in breve morti per emorragia o per trombosi.
Diversi scienziati evoluzionisti hanno tentato di confutare questi studi, tra questi il dott. Russel F. Doolittle, membro della National Academy of Sciences, che in polemica con Behe ha cercato di dimostrare l’errore del ragionamento circa la coagulazione, applicando il consueto metodo “scientifico” degli evoluzionisti:
ha cominciato col dare per certo il principio darwiniano, secondo il quale si possono comporre “alberi genealogici” degli esseri viventi in base alla percentuale di diversificazione delle sequenze di aminoacidi delle proteine che li compongono (maggiore diversità = precoce divergenza delle linee evolutive delle due specie rispetto al progenitore comune);
ha continuato stabilendo che questo meccanismo di “errore-correzione” casuale, che si verifica continuamente nella duplicazione del DNA, è alla base della cascata proteica della coagulazione, nella quale le 4 diverse proteine sarebbero state prodotte da micromutazioni casuali di un’unica proteina iniziale; la dimostrazione di questo “dato scientifico” starebbe nella inutile complessità del meccanismo di coagulazione: «Nessun Creatore avrebbe progettato un sistema così indiretto e macchinoso» ha affermato Doolittle;
ha concluso “leggendo in modo elastico” i risultati di una ricerca eseguita da altri scienziati, su due gruppi di topi ai quali era stato sottratto rispettivamente il gene produttore di due delle proteine della cascata proteica.
I topi così manipolati sono andati incontro fatalmente ad emorragie o trombosi, ma, secondo Doolittle, accoppiandoli tra loro, la prole sarebbe stata perfettamente sana, il che avrebbe dimostrato che la coagulazione può avvenire anche in assenza di alcune proteine. Le conclusioni a cui erano giunti i ricercatori, invece, erano ben diverse: la prole di quei genitori deficitari era incapace di formare coaguli e le femmine morivano durante le gravidanze.
Ben diversamente dai desideri di Doolittle, la ricerca ha dimostrato con prove certe e ripetibili che la cascata proteica della coagulazione è un esempio di complessità irriducibile e che soggetti deficitari anche di una sola proteina non potevano essere intermediari evolutivi, perché meccanismi semifunzionanti non sarebbero stati riconosciuti “vantaggiosi” nella “lotta per la sopravvivenza”; non avrebbero superato “il vaglio severo della selezione naturale” perché la loro utilità si sarebbe rivelata soltanto a posteriori, a processo evolutivo concluso, non durante la comparsa casuale dei singoli componenti del meccanismo (2).
Un altro esempio di complessità irriducibile è la struttura interna delle proteine istoniche. Queste proteine, in numero di cinque, sono composte. Ciascuna in media di 100 aminoacidi. La loro funzione è importantissima, in quanto esse impacchettano la lunghissima catena del DNA nel nucleo degli eucarioti, impedendo che essa si possa attorcigliare in modo inestricabile o rompersi rendendo impossibile la sua funzione che è quella di duplicarsi e di trascrivere le proteine necessarie alla vita degli organismi.
Senza simili proteine sarebbe stato impossibile lo sviluppo di tutti gli organismi pluricellulari e la terra sarebbe abitata solo da bacteri. Orbene gli aminoacidi presenti nella catena di queste proteine sono identici in tutte le posizioni in tutti gli organismi. Ad esempio l’istone 4 del pisello, composto da 100 aminoacidi è identico all’istone 4 della mucca ad eccezione di due soli aminoacidi; ciò vuole dire che la sostituzione anche di un solo aminoacido nella catena è deleterio per ogni organismo: avviene come se in un automobile ci vogliono 100 pezzi per far funzionare il motore, se si elimina un solo pezzo il motore non parte. Così se si sostituisce un solo aminoacido nella catena dell’istone, la proteina non funziona più e la selezione naturale la ha eliminata.
Ecco un esempio di complessità irriducibile all’interno di una sola proteina. La probabilità che il caso cieco abbia dato origine ad una proteina simile all’istone è di 1:20 elevato a 100 che rappresenta un numero davvero enorme (3).
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(1) M. Blondet Darwin alle corde? in Il Timone, n. 10 Novembre/Dicembre 2000.
(2) Evoluzionismo: Invece, la scienza afferma che … in Editoriale Il Giglio, 27/10/2005.
(3) N. Nobile Proteine istoniche in Sulle tracce delle origini, 27/10/2005.
Pierpaolo Ridolfi
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