Alla base della sentenza una “raccolta fondi non autorizzata” e l’organizzazione di un incontro con finalità di culto “senza permessi”. Le autorità hanno più volte cambiato il capo di imputazione durante il processo. E non vi sono prove concrete di colpevolezza. Una nuova vicenda di libertà religiosa violata e di persecuzione contro la minoranza cristiana.
Thimphu – Le autorità del Bhutan hanno condannato due pastori protestanti a diversi anni di prigione per aver promosso una “raccolta fondi non autorizzata” e per aver organizzato riunioni con finalità di culto “senza aver ottenuto i permessi necessari”. La sentenza risale al 10 settembre scorso ed è stata comminata dal tribunale di Dorokha, nel distretto di Samtse, nei pressi della frontiera indo-bhutanese, nell’estremità sud del Paese. Secondo quanto riferisce Eglise d’Asie (EdA), il 30enne reverendo Tandin (Tendin) Wangyal (Yangwal), marito e padre di tre figli, dovrà scontare una pena di quattro anni. Egli è finito alla sbarra per aver ricevuto aiuti finanziari “da organizzazioni cristiane all’estero” (poco più di 11mila dollari) necessari secondo l’accusa per fare “proselitismo cristiano”. Al contempo il rev. Mon. B Thap, meglio noto col soprannome di Lobzang, 56 anni, dovrà scontare due anni e quattro mesi (pena sospesa e libertà su cauzione), per aver aiutato il rev. Wangyal a organizzare una riunione “priva di autorizzazioni”.
Il ministro degli Interni ha difesa la condanna, affermando che i due hanno violato il codice penale del Bhutan; tuttavia, nel corso delle tre udienze il capo di imputazione è più volte cambiato e non vi sono in realtà prove concrete a sostegno delle accuse del pubblico ministero.
I due uomini sono stati arrestati il 5 marzo scorso, mentre stavano portando un bambino malato in un ospedale. Essi erano arrivati la sera precedente in un villaggio del sud (Khapdani), per preparare un seminario di tre giorni su richiesta di un gruppo di cristiani della zona, una trentina in totale. Il programma era stato presentato la sera del 4, durante la cerimonia di posa della prima pietra della futura casa di uno dei cristiani della zona. Al momento dell’arresto, la polizia ha sequestrato computer, cellulari e un proiettore. I due pastori negano ogni accusa e hanno a disposizione dieci giorni per ricorrere in appello, presso il tribunale di Samtse.
Dal 2006 il governo del Bhutan ha iniziato a promuovere una democrazia formale, dopo secoli di monarchia assoluta che proibiva la pratica di religioni diverse dal buddismo. Varata nel 2008, la nuova Costituzione prevede – almeno in via ufficiale – libertà religiosa per tutti i bhutanesi, previa segnalazione alle autorità competenti. Negli anni sono sorti così alcuni templi indù. Tuttavia, ancora oggi i cristiani non possono costruire chiese o scuole, pubblicare Bibbie e celebrare la messa in pubblico.
Infatti, i cristiani sono considerati ancora oggi come una “avanguardia dell’Occidente” e percepiti spesso come una minaccia per “l’identità nazionale del Bhutan”, che è legata a doppio filo al buddismo. In caso di conversione, una persona rischia di perdere persino il diritto alla cittadinanza. La pratica del culto è limitata alla sfera privata ed è impedito l’ingresso di missionari stranieri, così come non vi sono cimiteri – o settori – cristiani, per tumulare i propri cari.
Secondo le statistiche ufficiali, che risalgono al 2005, il 75% dei circa 700mila abitanti del Paese è di religione buddista, il 22% indù – in maggioranza di origine nepalese – mentre il resto della popolazione si suddivide fra cristiani e altre religioni. Fonti locali, protestanti, affermano che i cristiani sono circa 20mila, fra i quali vi sarebbero diverse centinaia di cattolici. Tuttavia, si tratta di numeri difficili da calcolare.
Fonte: http://www.asianews.it/
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