Dopo la decisione dell’amministrazione Trump di tagliare i finanziamenti al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), gli Stati Uniti criticano nuovamente l’agenzia dell’Onu per il suo supporto alla politica degli aborti forzati in Cina. Qui, secondo le stime ufficiali, sono stati abortiti circa 400 milioni di bambini dall’inizio degli anni ’80 a oggi, con abusi molteplici sui nascituri e sulle loro famiglie che continuano anche dopo che è stata abbandonata la scellerata politica del figlio unico, sostenuta da multinazionali abortiste come la Planned Parenthood e la Marie Stopes International che dicono di essere per la “libertà di scelta” (purché questa sia orientata al profitto, andrebbe aggiunto).
“Fino a quando l’Unfpa supporterà o parteciperà a qualche programma di coercitiva limitazione delle nascite, gli Stati Uniti non finanzieranno l’Unfpa”, ha detto giovedì scorso Stephanie Amadeo, vice rappresentante degli Usa al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc). Quest’altro affondo americano arriva dopo che l’Unfpa ha reso noto il suo nuovo piano quadriennale, che intende promuovere politiche sull’educazione sessuale espressamente rifiutate da molti Stati membri. Gli Usa continuano comunque a spendere circa 600 milioni di dollari all’anno in pianificazione familiare (anche se è stata avanzata una proposta volta a eliminare questo stanziamento per il 2018). E la Amadeo ha ribadito che i 32.5 milioni di dollari in precedenza destinati al Fondo dell’Onu saranno girati all’Usaid, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, che ha quantomeno recepito i limiti al finanziamento dell’aborto all’estero stabiliti da Trump attraverso la reintroduzione della Mexico City Policy.
Le parole della rappresentante americana hanno causato la reazione della Cina, che ha rivisto la propria dichiarazione originaria per definire “immotivate” le accuse degli Stati Uniti e contrattaccare sostenendo che starebbero solo cercando “scuse” per ritirare i finanziamenti. Al di là del prevedibile rifiuto della delegazione cinese di ammettere gli orrori compiuti in decenni di controllo delle nascite, il nuovo piano strategico dell’Unfpa per il 2018-2021 desta legittime preoccupazioni. Nel documento si parla infatti varie volte di “diritti di salute sessuale e riproduttiva” e “servizi di salute sessuale e riproduttiva”: una terminologia che diversi Stati membri non accettano perché è il mezzo per sdoganare l’aborto a livello internazionale (sempre rimasto fuori dai trattati), assieme ai concetti dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, che fanno parte della neolingua veicolata dai gruppi Lgbt.
Il piano dell’Unfpa – pienamente appoggiato da Paesi come la Norvegia, tra i più radicali nel sostenere i “nuovi diritti” – spinge inoltre per la promozione di programmi di “educazione sessuale onnicomprensiva” tra i bambini, altra espressione subdola che nelle intenzioni dei suoi ideatori ha il fine di far radicare nelle scuole l’ideologia avversa alla famiglia naturale e al diritto dei nascituri, con l’incoraggiamento di una deresponsabilizzazione e un libertinaggio assoluti, scavalcando la stessa libertà educativa dei genitori. Se l’agenzia dell’Onu realizzasse quest’ultima sua ambizione, supererebbe arbitrariamente un ulteriore limite del suo mandato che prevede di agire con un’adeguata “direzione e guida da parte dei genitori e dei tutori legali”. L’Unfpa afferma pure di voler “eliminare le barriere” che limitano l’accesso ai servizi, anche riguardo agli adolescenti, ma non specifica in che cosa consisterebbero queste barriere e nemmeno si sofferma sulla salvaguardia dei diritti dei genitori.
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook