A 3 anni dalla repressione militare in Myanmar, che ha costretto il popolo di etnia Rohingya a lasciare le proprie case e fuggire, sono ancora in tanti a essere costretti a trovare rifugio in campi profughi situati oltre il confine col vicino Bangladesh. Mentre la questione sicurezza rimane un problema per tutti loro, la minoranza cristiana al suo interno affronta una doppia vulnerabilità: quella etnica e quella legata alla fede cristiana.
I cristiani appartenenti al popolo Rohingya, infatti, affrontano crescenti pressioni a causa della fede, sia da parte degli altri rifugiati, sia da parte delle autorità locali e dei gruppi islamici radicali come l’Arakan Rohingya Salvation Army (ARSA).
Peter, uno dei 2.000 cristiani che vivono al Kutupalong Refugee Camp, il più grande campo profughi al mondo situato a Cox Bazar, una città nel sud-est del Bangladesh, ci ha riferito:
“L’ARSA ci attacca quasi tutti i giorni all’interno del campo, anche durante gli incontri domenicali, e siamo discriminati dal nostro stesso popolo perché siamo cristiani.
Lo scorso gennaio, durante un’incursione dell’ARSA, 3 cristiani sono stati rapiti e 2 di loro non si sa ancora dove si trovino. Anche una giovane ragazza di 14 anni è stata prelevata dall’ARSA per essere data in sposa a uno dei militanti del gruppo e forzata a convertirsi all’islam.
Nonostante il trasferimento di circa 25 famiglie cristiane in un altro campo gestito dall’ONU, gli attacchi e le molestie non sono terminati. I funzionari dell’ONU ci avevano informato che avrebbero costruito un campo separato per noi, al fine di garantire la nostra protezione, ma a 9 mesi di distanza nulla è successo”.
Secondo Thomas M., analista per la World Watch Research, l’unità di ricerca sulla persecuzione della nostra missione, sono molti i fattori che contribuiscono alla vulnerabilità dei cristiani tra il popolo Rohingya:
“Quando le persone sono perseguitate per la loro origine etnica, la coesione del gruppo è molto importante e fortemente osservata. I Rohingya che si convertono al cristianesimo sono quindi visti come traditori dalla comunità e prede dei cristiani occidentali. Ciò che rende la situazione ancora più complessa è la presenza di gruppi militanti come l’ARSA che radicalizza i musulmani Rohingya, e il disinteresse delle forze di sicurezza bengalesi verso questo genere di fenomeni discriminatori”.
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