Bambini, involontari carnefici della jihad

img-_innerArtFb-_leoncinoHanno fatto il giro del mondo le terribili immagini del “leoncino del Califfato”: il bambino-soldato kazako di 10-11 anni che in un video pubblicato dall’IS, lo stato islamico di al Baghdadi, è ripreso mentre spara alla nuca con una pistola automatica a due prigionieri accusati di lavorare per i servizi segreti russi. 

Aveva circa 10 anni anche la bambina imbottita di esplosivo che il 10 gennaio, in Nigeria, è morta provocando una strage in pieno giorno in un affollato mercato di Maiduguri, capitale dello stato nord orientale del Borno. Il giorno dopo altre due ragazzine hanno fatto la stessa fine in un mercato di Potiskum, nel vicino stato di Yobe: due esplosioni quasi simultanee hanno ucciso sette persone.

Spezza il cuore pensare a quei bambini: tanto il terrorista reclutato dall’IS, che è vivo, ma nelle grinfie del male, allevato nell’odio, quanto le piccole nigeriane, costrette a uccidere a loro volta, senza neanche provare a conquistarle alla causa. Si può solo a immaginare che cosa abbiano passato negli ultimi giorni di vita quelle bambine e le altre che le hanno precedute nei mesi scorsi: rapite dai terroristi Boko Haram o ad essi cedute dai genitori, convinte a obbedire con la promessa del paradiso e con la minaccia di una morte più dolorosa; forse, quelle più grandi, addestrate a innescare i detonatori. Poi c’è stato il terrore degli ultimi istanti, quando sono state portate a destinazione e lasciate lì a morire…

Eppure c’è chi potrebbe persino invidiarne la sorte. Sono le studentesse cristiane – 276 in tutto – rapite in un collegio di Chibok il 14 aprile del 2014 e, con loro, le tante altre strappate nel corso degli anni dai jihadisti alle loro famiglie. Di quelle di Chibok il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, ha detto che si sono convertite all’islam e che poi sono state maritate tutte a dei combattenti oppure vendute come mogli.

Essere mogli bambine in Africa può essere molto doloroso, tanto più se il contratto di matrimonio prevede il pagamento ai genitori del prezzo della sposa: tanto lavoro, un marito scelto e imposto dalla famiglia, spesso sconosciuto fino al giorno delle nozze, che la tradizione autorizza, anzi esorta a usare le punizioni fisiche per educare moglie e figli all’obbedienza, lo scontro con le eventuali altre mogli, l’assoggettamento alla famiglia acquisita… Figurarsi dunque in che condizioni vivono le adolescenti di Chibok, convertite a forza, più schiave che mogli, indifese, sole, spaventate.

Quelle meno docili o di cui i mariti si stancano potrebbero essere usate per gli attentati suicidi, perché almeno servano a qualcosa. Nel suo rapporto del maggio 2014 (relativo al 2013) sui bambini coinvolti nei conflitti armati – complessivamente circa 230 milioni concentrati in 23 stati (ai quali nel 2014 si è aggiunta l’Ucraina) – l’Unicef ha evidenziato il crescente impiego di bambini proprio in attacchi suicidi. Prima di Boko Haram in Nigeria, hanno incominciato a sacrificare dei bambini facendoli esplodere soprattutto i terroristi di Afghanistan e Pakistan e quelli palestinesi in lotta contro Israele. Memorabili a questo proposito furono le parole pronunciate nel 2002 dal leader dell’Autorità nazionale palestinese, Anp, Yasser Arafat, durante un discorso rivolto ai bambini palestinesi: “Gli shahid (i martiri testimoni della fede nella religione islamica, quelli che di solito chiamiamo impropriamente “kamikaze”) costituiscono la forza fondamentale e vittoriosa del nostro popolo”; e, in un altro discorso, l’anno successivo: “il bimbo che afferra un sasso, che fronteggia un carro armato, non è il miglior messaggio per il mondo quando quell’eroe diventa shahid?”

L’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia classifica i piccoli attentatori suicidi come vittime di uno dei sei più gravi tipi di violazione dei diritti dei minori: l’uccisione e le mutilazioni sia mirate che da intendere come danni collaterali. Gli altri sono: la violenza sessuale, i rapimenti, gli attacchi a scuole e ospedali, l’accesso agli aiuti umanitari negato e l’arruolamento.

In Nigeria, salvo l’esclusione deliberata dagli aiuti umanitari, che però sono rallentati e resi intermittenti nelle zone più esposte alla minaccia dei jihadisti e sospesi nei territori da essi controllati, si verificano tutti gli altri tipi gravi di violazioni. Quasi metà degli sfollati e dei profughi a causa dell’insicurezza crescente negli stati del nord est del paese – stimati in oltre 1,5 milioni – sono bambini e adolescenti. Boko Haram è accusato di reclutare bambini anche di 12 anni soltanto, spesso rapiti, impiegati sia nel trasporto di armi e nei contatti tra combattenti sia in attacchi e attentati, anche in quelli più feroci, contro la popolazione civile, a causa dei quali centinaia di bambini sono stati uccisi, feriti e mutilati dal 2009 a oggi.

In fatto di bambini soldato, reclutati a forza, con la propaganda o con l’inganno, forse l’esempio più atroce resta quello dell’Iran, all’epoca della guerra tra Iran e Iraq, combattuta dal 1980 al 1988. Teheran aveva emanato una legge in base alla quale gli adolescenti di età superiore a 12 anni potevano essere arruolati senza l’autorizzazione paterna. Ma in quegli otto anni il regime degli ayatollah mandò a morire in combattimento o sui campi minati bambini anche più piccoli. Regalava a ciascuno di loro una chiave di plastica dorata da appendere al collo dicendo che con essa avrebbero aperto le porte del paradiso. Si dice che l’ayatollah Khomeini ne avesse fatte arrivare da Taiwan 500mila.

di Anna Bono

Tratto da: http://www.lanuovabq.it/


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