Leggendo le cronache disperate del nostro tempo, quella sorta di bollettino del disastro che ogni giorno ci avvicina al baratro, al punto di non ritorno, mi viene in mente ciò che gli storici scrivono a proposito del naufragio del Titanic. Una transatlantico considerato inaffondabile, almeno fino al giorno in cui è colato a picco. Ebbene, si dice che poco prima del suo affondamento, le gente ignara a bordo ballasse spensierata. Così noi, forti della nostra storia, del nostro stile di vita e rassicurati da una classe dirigente che ha come obiettivo la propria sopravvivenza e le prossime lezioni e non i prossimi vent’anni (come scriveva uno statista di un tempo).
La nostra epoca, segnata da un innegabile declino, sta volgendo al termine sotto il peso di crisi economiche, sociali e istituzionali. Siamo testimoni di un momento cruciale, una fase in cui non solo il nostro modello di società, ma anche il sistema di valori su cui si reggeva, sono giunti al capolinea. E la responsabilità di questa catastrofe non può essere ignorata: è la classe politica, con la sua incapacità di progettare e guidare, che ha contribuito a questo disastro.
Il declino economico
La realtà economica è inesorabile. Secondo l’International Monetary Fund (IMF), nel 2023 la crescita globale del PIL è crollata sotto l’1%, un dato scioccante rispetto ai tassi di crescita superiori al 3% che caratterizzavano gli anni precedenti. Questo rallentamento non è un episodio isolato, ma il risultato di una serie di fattori sistemici che indicano un’erosione profonda della fiducia nelle economie globali. La situazione è ulteriormente aggravata dal tasso di disoccupazione, che in Italia ha superato il 10% secondo Eurostat. Questo è un segnale allarmante di una crisi occupazionale persistente, che colpisce in particolar modo i giovani e le regioni meridionali.
Il deterioramento della situazione economica è affiancato da un aumento della corruzione e della malversazione. L’Indice di Percezione della Corruzione di Transparency International mostra un quadro desolante: nel 2023, molti paesi hanno visto un ulteriore calo nella trasparenza. L’Italia, ad esempio, è scesa al 52° posto su 180 paesi, con un punteggio di 46 su 100, indicando una continua e preoccupante erosione della fiducia pubblica nelle istituzioni.
Il fallimento della classe politica
In questo contesto di crisi, la classe politica si dimostra completamente inadeguata. La recente crisi del governo italiano, caratterizzata da instabilità e inefficacia, è emblematicamente rappresentata dall’amministrazione Meloni. La mancanza di visione e di azione concreta è palese. Secondo Francesco D’Agostino, in un’analisi pubblicata su La Repubblica, la leadership italiana appare disorientata e incapace di affrontare le sfide del presente con la serietà e l’efficacia necessarie. Invece di proporre soluzioni innovative e riformiste, i nostri leader sembrano più interessati a mantenere il proprio potere e a navigare nel marasma politico piuttosto che a risolvere i problemi reali dei cittadini.
Questa incapacità non è limitata all’Italia. A livello globale, l’immobilismo politico è un problema diffuso. La recente crisi del governo britannico, con il suo susseguirsi di cambi di leadership e di politiche incoerenti, è solo un altro esempio di come la mancanza di visione e di responsabilità stia paralizzando le nazioni. L’analisi di Robert Peston, pubblicata su The Guardian, mette in luce come la politica britannica sia ormai un campo di battaglia di opportunismi e di incertezze, senza una direzione chiara.
Il collasso dei valori
Il collasso del nostro modello di società non è solo una questione economica e politica, ma anche culturale. Una volta, i valori di giustizia sociale, di solidarietà e di impegno per il bene comune erano i pilastri su cui si basava la nostra società. Oggi, questi valori sono stati soppiantati da una cultura di superficialità e di egoismo. La crescente influenza dei social media ha amplificato questa crisi, sostituendo il pensiero critico con opinioni rapide e frammentarie. Umberto Eco, nel suo Confessioni di un giovane romanziere (2011), avvertiva che «l’informazione veloce e superficiale ha preso il posto del pensiero critico e profondo», un segno inequivocabile di un’epoca che ha sacrificato la sostanza per l’apparenza.
La crisi dei valori è ulteriormente evidenziata dal crescente cinismo e dalla disillusione tra i cittadini. Le manifestazioni di protesta, le critiche alla politica e l’indifferenza verso le istituzioni mostrano un’ampia frattura tra le aspettative della popolazione e la realtà. La rilevazione dell’Eurobarometro del 2023 mostra che il 65% degli europei non ha fiducia nei propri governi e ritiene che le politiche pubbliche siano lontane dalle reali esigenze dei cittadini.
La lezione e il futuro
La fine di questo tempo non è solo una questione di economia e di politica, ma una riflessione profonda su come la nostra società è cambiata e su cosa rimane di ciò che eravamo. Arnold Toynbee, storico di grande prestigio, scriveva che «ogni generazione crede di vivere in un tempo cruciale», ma è evidente che quando le strutture del passato non riescono più a sostenere le sfide del presente, il cambiamento diventa inevitabile.
La conclusione di quest’epoca ci offre una lezione fondamentale: nulla è eterno, e tutto, prima o poi, giunge al suo termine. Ma da questa fine può nascere una nuova consapevolezza e un’opportunità per ricostruire e reinventare. È imperativo che affrontiamo la trasformazione con lucidità e con una volontà di rinnovamento che finora è mancata. I leader politici devono finalmente comprendere che la loro inadeguatezza ha conseguenze reali e devastanti, e che è giunto il momento di affrontare la crisi con la serietà e l’impegno che meritano.
Mentre il sipario cala su questo capitolo della nostra storia, è nostro compito accettare il ruolo che ci spetta in questa evoluzione, e chiedere alla classe politica di fare altrettanto. Solo così potremo gettare le basi per un nuovo inizio, finalmente degno della sfida che ci attende.
di Davide Romano
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