Azzardo, un gioco in cui perdono tutti

Il vertice stato-regioni sulla riforma del gioco azzardo si è tenuto nel segno della mediazione, ma manca il coraggio per ammettere che i costi sociali superano i benefici fiscali.

Con il tavolo tecnico sul gioco d’azzardo, nella giornata di mercoledì 3 maggio si è aperta una Conferenza Stato-Regioni che è destinata a far discutere anche dopo la sua chiusura, prevista con l’incontro nel pomeriggio di giovedì 4. In particolare, al centro delle polemiche si trova la bozza di riforma del sistema di vendita dell’azzardo legale sul territorio, che ha visto l’inserimento e la rimozione di elementi e proposte da parte del governo con uno scarso livello di trasparenza, lontano da quanto promesso quando, un anno fa, si cominciò il percorso di discussione. Tra le proposte presenti nell’ultima bozza: la riduzione del potere dei sindaci sulle distanze, la proroga della vita delle slot machine e la creazione di sale d’azzardo chiamate “sale A2”, sottoposte a regole meno stringenti. Tuttavia, in sede di tavolo tecnico, convocato dal sottosegretario Pier Paolo Baretta, sono arrivati ulteriori cambiamenti, che rappresentano una mediazione e condurranno a un rinvio di almeno una settimana per la firma dell’intesa. Il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, ha affermato che «sulla difesa dei nostri poteri di regolamentazione dell’azzardo noi insistiamo, ma abbiamo trovato la disponibilità del governo».

Sempre secondo le dichiarazioni di Anci, sono stati compiuti dei passi avanti anche sulle distanze dai luoghi sensibili e sugli orari di apertura delle sale di gioco. Allo stesso modo, è stata smentita, o comunque corretta, l’ipotesi di sale A e A2, dotate di diverse regole, che avrebbero generato una disparità di garanzie e di strumenti di controllo.

Il problema, però, è che queste regole non sembrano mettere in discussione il gioco d’azzardo in sé, che rappresenta un enorme bacino di entrate per lo Stato, visto che le puntate nel 2016 sono state pari a oltre 74 miliardi di euro, ma anche un costo sociale difficile da quantificare.

«Mi sembra – afferma Simone Feder, psicologo che lavora da anni nelle strutture della comunità Casa del Giovane di Pavia dove è coordinatore dell’Area Giovani e dipendenze – che l’Italia in questo assomigli un po’ al Paese dei balocchi: per anni si è permesso tutto in gran parte del territorio, sono state veicolate parecchie varietà di offerta d’azzardo, pubblicizzate a destra e a manca su tutte le reti e sui i giornali».

C’era davvero bisogno di riformare il sistema dell’azzardo in questo modo?

«Oggi si cerca di mettere mano a qualcosa che è già disorganizzato di suo. In questi anni abbiamo sostenuto molte regioni che hanno potuto legiferare in materia, per cui oggi la maggior parte di loro ha una legge che contrasta l’azzardo sui territori. Ora, che arrivi il governo centrale a gamba tesa a mettere mano a questa partita è inaccettabile, perché è necessario tenere conto di quel che hanno fatto sia le regioni sia i comuni, che hanno cercato di arginare il fenomeno. Oltretutto, la piaga del gioco d’azzardo sta sempre aumentando nei territori, purtroppo. Noi dal basso lo vediamo, forse dall’alto vedono altro».

Il gioco d’azzardo porta miliardi nelle casse dello Stato, ma qual è dall’altra parte il costo in termini di salute pubblica?

«È drammatico. Teniamo presente che spesso noi poniamo il focus sul giocatore, chiamiamolo così, ma c’è un enorme mondo di sofferenza che sta dietro al giocatore. Dobbiamo prima di tutto dire che molto spesso un giocatore d’azzardo non si sente malato, e la clinica su questo dovrà fare dei passi da gigante per cercare di agganciare anche queste persone. A parte questo, però, il fatto è che c’è tutta una popolazione dietro ai giocatori: pensate soprattutto i bambini, che vivono questo dramma all’interno delle loro case, che crescono in famiglie devastate dalla piaga dell’azzardo. Abbiamo stimato che dietro a ogni giocatore d’azzardo ci siano sei persone che rischiano di ammalarsi».

Che cosa significa?

«Significa innanzitutto che arrivano da noi molte richieste d’aiuto, solitamente di notte, e a differenza di altre dipendenze non arrivano dal giocatore, dal malato d’azzardo, ma dal familiare, che si rivolge alle strutture d’assistenza perché è estremamente preoccupato. Bisogna anche aprire a un discorso di prevenzione diversa, di attenzione al bisogno differente, prché oggi non è possibile non rispondere subito a queste richieste d’aiuto».

Ci sono fasce d’età particolarmente esposte e colpite?

«Prima di tutto gli anziani: pensi quanto è permesso di aggredire quella popolazione con l’azzardo legale. Adesso però, dai dati che vediamo, vengono colpiti sempre di più i giovani, addirittura all’interno delle scuole. Sono loro stessi a dircelo, raccontando storie di grande sofferenza. Ho scritto un piccolo libro che uscirà a fine mese nel quale racconto una delle storie che mi sono state raccontate da un bambino a proposito della sua famiglia, è una storia da brividi che però non è isolata, ma vissuta da molti bambini in Italia».

Come viene segnata la vita dei familiari dei malati?

«I figli crescono già condizionati dal mondo dell’azzardo all’interno delle loro famiglie e questo inficia non solo la didattica, perché molti vanno a scuola col pensiero ricorrente di cosa possa succedere a casa la sera, ma anche tutto il loro percorso di crescita, perché perdono interesse verso qualsiasi cosa. Questo ci porta alla necessità di prestare anche delle cure preventive, a livello anche a volte sanitario, verso i familiari stessi. La scorsa estate abbiamo vissuto due tentativi di suicidio di familiari degli ammalati, che guardando in faccia il dramma, il “mostro-azzardo” dei cari che avevano vicino, faticavano a reggere l’urto. Proprio pochi giorni fa un altro ragazzo, in provincia di Brindisi, si è lanciato dal balcone nella giornata della Festa dei lavoratori per lanciare un messaggio ai genitori, per dire che non ce la faceva più ad andare avanti con questa dipendenza da azzardo, soprattutto da slot machine».

Tornando al dibattito in Conferenza Stato-Regioni, si fa qualche riferimento alla prevenzione?

«Se ne parla nei termini di ridurre il parco macchine e di mettere macchine più controllate, ma in realtà è un modo di pensare che mi sembra più portato a ottimizzare l’offerta, e questo è drammatico. Poi, da una parte c’è uno Stato che continua a fare il bancomat rispetto al prelievo erariale e quindi deve strutturare questa offerta-azzardo, e dall’altra mette dei soldi per la cura e la prevenzione, perché con la legge di stabilità ha previsto 50 milioni di euro da stanziare alle Regioni per questo scopo. Mi sembra un atteggiamento schizofrenico».

Anche in questo caso quindi dobbiamo parlare di un’occasione persa di ripensare a un sistema che provoca danni enormi?

«Sì, anche perché non parliamo solo di danni alla salute: teniamo presente che stiamo pagando un prezzo molto caso anche a livello di economia. Com’è possibile che ci siano realtà di città, di paesi, nei quali si butta in azzardo, solo nelle slot machine, 2500 euro procapite ogni anno, neonati compresi? Forse c’è qualcosa che sta entrando nei nostri territori, forse si tratta di riciclaggio di denaro sporco, perché non posso credere che in alcuni territori si buttino tutti quei soldi dentro delle macchinette. C’è qualcosa che si sta inserendo all’interno di una struttura legalizzata».

Immagine: via Flickr – Michael Tapp

di Marco Magnano | Riforma.it

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