di Christopher Sharma
Dal 2000 oltre 7.500 persone emigrate nei Paesi arabi sono morte in circostanze misteriose. Ben 3.500 nella sola Arabia Saudita, 65 da ottobre 2013. Kathmandu avvia un’indagine per fare luce sui decessi. Medici e associazioni per i diritti umani denunciano torture e violenze contro i lavoratori stranieri.
Kathmandu – Le morti di migranti nepalesi nei Paesi del Golfo Persico, preoccupano il governo di Kathmandu, che in questi giorni ha iniziato a investigare sulle cause dei decessi spesso causati da sfruttamento e soprusi da parte dei datori di lavoro arabi.
Secondo le statistiche ufficiali, dal 2000 sono oltre 7.500 le persone emigrate per lavoro nei Paesi musulmani morte in circostanze da chiarire, circa 3.500 nella sola Arabia Saudita, dove si registrano 65 decessi negli ultimi 3 mesi del 2013. Le autorità degli Stati arabi sostengono che le morti sono dovute a circostanze naturali, ma finora non hanno mai spiegato quali siano tali “circostanze”. In questi anni molti migranti ritornati in Nepal dai Paesi del Golfo hanno raccontato storie raccapriccianti sulle loro condizioni di lavoro e umane, denunciando violenze, soprusi e tentativi conversione forzata all’islam.
Un funzionario dell’ambasciata del Nepal a Ryadh spiega ad AsiaNews che la polizia archivia sempre le morti come “cause naturali”, ma si rifiuta di inviare un rapporto dettagliato sulle condizioni delle persone decedute, di solito di età compresa fra i 20 e 40 anni. “Anche noi – afferma il diplomatico – pensiamo che sia improbabile che così tanti giovani muoiano per cause naturali. Come può una persona di soli 20 anni morire improvvisamente senza ragioni esterne, quando vi sono testimoni che raccontano che egli non aveva alcun problema poche ore prima del decesso?”. Infatti, molti rapporti diffusi da organizzazioni per i diritti umani, ma anche dati del ministero degli Esteri nepalese e delle ambasciate nei Paesi arabi denunciano le gravi condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i lavoratori migranti. Fra le principali cause di decesso vi sono abusi sul lavoro, condizioni di alloggio ai limiti dei diritti umani, stress fisici e mentali e discriminazioni legati alla religione. Diversi consulenti del Ministero del lavoro (Dofe) sottolineano che “la tendenza della polizia saudita ad etichettare le morti come ‘naturali’ ha qualcosa di sinistro”.
Ganesh Gurung, consulente ed esperto di gestione di pratiche di lavoratori all’estero, dice che “è necessario indagare su tali casi e scavare più in profondità”. Per lo studioso le morti potrebbero essere legate ad omicidi o torture. “E’ possibile – aggiunge – che la polizia archivi i decessi come naturali solo per evitare indagini e lungaggini procedurali”. Gurung ha avuto la possibilità di osservare le salme dei morti al loro ritorno in patria e la maggior parte dei corpi presenta ferite non adeguatamente curate.
Divasch Acharya, portavoce del Dofe, nota che vi sono molte lacune nell’orientamento dei migranti al momento della loro partenza del Nepal, soprattutto per quanto riguarda le loro condizioni di salute. Tuttavia, medici e attivisti per i diritti umani puntano il dito contro il governo, che in questi anni ha più volte glissato sulle cause delle morti, sostenendo che esse erano anzitutto causate da stress, abitudini alimentari sbagliate e condizioni meteorologiche, prendendo la stessa posizione della polizia di Riyadh.
Per Bisnu Rimal, leader del sindacato Gefont, il principale problema è l’assoluta impossibilità di verifica da parte di organi indipendenti. “Nessuno può entrare in Arabia Saudita – spiega – non abbiamo altra alternativa che affidarci ai rapporti dell’ambasciata”.
Fonte: http://www.asianews.it/
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