Sono nato a Palermo nel 1953, a diciassette anni mi trasferii a Roma, a venti partii per il servizio militare e a ventitré feci la più grande sciocchezza della mia vita. Era il 1976, quando in seguito ad un tuffo in mare mi spezzai la quinta vertebra cervicale lesionandomi il midollo spinale e rimanendo così paralizzato all’istante. Tutto cominciò in un caldo pomeriggio d’agosto, quando i miei amici ed io andammo con il pedalò per fa re una nuotata al largo. Ad un certo punto ci fermammo per fare un tuffo; l’acqua era torbida e non mi preoccupai di controllarne la profondità. Appoggiai i piedi sul bordo del pedalò, respirai profondamen te e mi tuffai. La mia testa andò a sbattere sul fondale sa bbioso, ed io indietreggiai con uno strattone, provando una strana corrente sulla mia testa. Mi ritrovai sott’acqua intontito ed incapace di muovermi: mi sentivo come un pezzo di legno buttato in mare. I miei polmoni sembravano scoppiare, ma quando fui sul punto di aprire istintivamente la bocca per respirare, sentii le braccia dei miei amici intorno a me che sollevavano verso l’alto e mi portarono sulla spiaggia. La gente intorno a me era tanta, chi mi diceva una cosa, chi me ne diceva un’altra; e intanto io stavo lì, spaventato senza rendermi conto di cosa mi era accaduto, solo chiedevo di chiamare un’ambulanza.
L’incidente mi fece precipitare in un mondo strano e spaventoso, di dolore, fleboclisi, tubi e macchinari. Per mesi stetti sdraiato su un lettino elettronico, messo in trazione, con il rischio e la paura che mi si formassero le piaghe. Ma sia ringraziato Dio perché questo non avvenne. Persi tanto peso durante quei mesi, che le ossa quasi uscivano dalla mia pelle. In quei primi sei mesi di tribolazione e di sofferenza caddi in una profonda depressione, chiesi a Dio come avesse potuto permettere che tutto questo accadesse proprio a me. Rifiutavo di imparare la rieducazione fisioterapica, o meglio, la fisioterapia me la facevano, ma io non mettevo la mia collaborazione psicologica. Poi mi accorsi che c’erano dei ragazzi in condizioni peggiori della mia, i quali avevano un atteggiamento allegro e ottimista, mentre io ero depresso, scoraggiato e con minori speranze nel cuore di potere andare avanti. Allora mi vergognai delle mie lamentele e mi feci forza per reagire meglio.
Quando entrai a far parte di questo mondo di disabili avevo strane idee: volevo togliermi la vita, pensavo di buttarmi dalle scale con tutta la carrozzina o buttarmi sotto un’automobile. Mi odiavo fino al punto che avrei fatto qualsiasi sciocchezza. Un giorno dei fratelli in Cristo mi vennero ad annunziare la parola del Vangelo. Mi dissero che Dio mi poteva guarire sia spiritualmente sia fisicamente, e mi consigliarono di leggere la Bibbia; e mi dissero: “Così saprai cosa il Signore vuole da te”. Io accettai quel consiglio, ma soprattutto per la guarigione fisica. Quando leggevo la Bibbia era come se mangiassi del pane prelibato, ed il Signore con il suo amore modellava il mio spirito. Nella mia mente non c’erano più cattivi pensieri, persino la guarigione fisica non m’interessava più. “Beato è colui che si sottomette alla volontà di Dio, perché l’infelicità non lo colpisce. Gli uomini possono trattarlo male ma egli non se ne preoccupa, perché sa che tutte le cose cooperano al bene di coloro che amano Dio, al bene di coloro che sono chiamati secondo il suo disegno”. Dio mi stava mostrando una grande verità: forse nel bene che Lui voleva per me non c’era la guarigione fisica ma la trasformazione del mio cuore che avrebbe imparato ad avere un atteggiamento più flessibile, ad apprezzare le piccole cose, e ad avere una profonda gratitudine verso gli altri; ad avere un carattere basato sulla pazienza, la tolleranza, l’amore e la gioia.
Non è stato facile, ma la potenza e la forza di Dio mi hanno aiutato. D’altronde Gesù sa perfettamente come mi sento in tutte le circostanze della vita, anche Lui ha sofferto, ma Egli ha trasformato la sua croce in un simbolo di speranza e di libertà. Io non posso fare di meno, perché la mia carrozzina è la prigione senza sbarre nella quale Dio si è compiaciuto di darmi libertà, affinché nella mia debolezza mi rendesse forte e facesse di me una parte vivente del Suo popolo e di Se Stesso, in questo mondo. Oggi, nonostante tutto, mi sento una persona felice e salvata per mezzo del sacrificio e del sangue versato da Gesù sul duro legno della croce per me e per i miei peccati. Ringrazio Dio per la mia infermità, perché per mezzo di essa ho trovato Dio e me stesso. In una parabola, nel Vangelo di Luca, capitolo 14, Gesù chiamò gli zoppi, i poveri, i ciechi e i sordi ad entrare affinché la Sua casa fosse piena anche di coloro che sono portatori di handicap. Tutti sono benvenuti nella Casa di Dio, sani e disabili, purché nei loro cuori viva l’amore per il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.
A Lui sia tutta la gloria nei secoli dei secoli, Amen.
Mariano
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