«Mery e Franci si amavano e volevano una famiglia. (…) Ma mancava il semino! In Olanda c’è una clinica dove dei signori gentili donano i loro semini per chi non ne ha. Franci si è fatta dare un semino nella clinica olandese e… l’ha messo nella pancia di Mery. Margherita ha cominciato a crescere! Margherita ha due mamme: solo una l’ha portata nella pancia ma entrambe, insieme, l’hanno messa al mondo. Sono i suoi genitori». Le scritte grandi e ben scandite campeggiano su pagine dai colori pastello dove le figure di due donnine, che si scambiano bacini e cuoricini, completano l’«idillio fiabesco». Ebbene sì, perché quanto riportato qui sopra, è lo stralcio proprio di un racconto per bambini, Piccola storia di una famiglia, casa editrice Stampatello.
Ma il peggio deve ancora venire. Perché, il manualetto per infanti non occupa solamente gli scaffali delle librerie più attive in tema di propaganda gender, ma fa parte della progetto educativo, all’insaputa dei genitori, di un asilo nido comunale di Roma, il Castello Incantato, zona Buffalotta.
Al testo in questione si aggiungono una lunga serie di altri simili: Perché hai due papà? – «un libro che in modo semplice e lineare spiega come nascono i bambini dall’amore di due uomini» – oppure, Qual è il segreto di papà?, dove si racconta ai piccoli che loro padre potrebbe avere un fidanzato. E ancora Il bell’anatroccolo, la storia di Elmar (maschio) che scopre di essere «femminuccia ed è orgoglioso di esserlo». E via dicendo. La lista è lunga ed è stata affissa sulla bacheca del nido in questione con il titolo: «Vogliamo leggerli ai nostri “bambini” (scritto in rosa, ndr) e “bambine” (scritto in azzuro, ndr), chi ce li regala?».
Una bacheca sì, una semplice bacheca di quelle che si usano per comunicare feste di compleanno, variazioni del menù scolastico o colonie di virus in agguato. E però, è proprio questo il metodo che si ripete: con il cavallo di Troia della lotta alla discriminazione, con il pretesto dell’educazione sessuale o più semplicemente, appunto, con escamotage che sfruttano la distrazione dei genitori, si spalancano le porte degli istituti scolastici ad una valanga di “progetti educativi” di stampo gender. Il nido di Roma non è certo un caso isolato. Lo denuncia un comitato di genitori – comitatoarticolo26.it – nato proprio con lo spirito di rispondere all’emergenza educativa che, sotterranea ma violenta, si sta imponendo nelle strutture scolastiche della capitale ed anche di tutto il territorio nazionale.
Così, spesso all’insaputa dei genitori, si va affermando una linea ben precisa. Si impone, in modo più o meno limpido, una cultura insidiosa, che mira alla decostituzione dei modelli di genere, alla sovversione delle evidenze di natura e allo stravolgimento del senso di famiglia e di genitorialità. Detto in altre parole, si insegna ai bambini, sin dalla più tenerà età, che non si nasce maschi o femmine ma che «sei quello che senti di essere», senza differenza. Che non esistono una mamma e un papà, ma un genitore 1 e 2. E che perciò la famiglia può essere tutto e il suo contrario. E via discorrendo. Un “progetto educativo” ben architettato che nasce in seno alle associazioni Lgbt e si serve del patrocinio del governo e degli enti locali, come più volte abbiamo dimostrato spiegando ad esempio il progetto del governo che va sotto il nome di “Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sulle discriminazioni”, che ha nella scuola il principale obiettivo (clicca qui).
Per capire meglio lo scenario su cui si muovono casi come quello del Nido Castello Incantato, è sufficiente guardare quanto successo a Roma lo scorso 20 e 21 settembre, giorni in cui si è tenuto un convegno nazionale dal titolo “Educare alle differenze”. Organizzato da duecento realtà co-promotrici – per lo più associazioni Lgbt sparse su tutto il territorio nazionale –, l’incontro ha visto la partecipazione di centinaia di attivisti, tra cui psicologi e docenti di scuola pubblica di ogni ordine e grado. Sono questi ultimi, infatti, i destinatari prediletti, perché lo scopo dell’ideologia cosiddetta gender, è quello di formare ed educare le future generazioni a «cambiare idee, concetti e visioni del mondo mettendo in crisi il pensiero unico della nostra cultura, fatta spesso di stereotipi e modelli culturali di genere normativi limitanti». Questo quanto si legge nella “mission” diProgetto Alice, uno dei principali gruppi promotori dell’evento. E se i più grandi sono difficili da convincere, meglio partire dai piccini: «Abbiamo individuato nella decostruzione degli stereotipi dei modelli familiari nella primissima infanzia un intervento strategico per il lavoro educativo», ha dichiarato un’esponente dell’associazione Scosse nell’ambito della presentazione del progetto “Leggere senza stereotipi”, un’idea che a Venezia è già diventata realtà grazie ai finanziamenti del Comune e che prevede la fornitura agli asili e alle scuole dell’infanzia di libretti sul calibro di quelli citati in partenza.
Ma vi è di più. Il convegno nazionale “Educare alle differenze” è stato patrocinato dell’Assessorato alla Scuola di Roma Capitale. E infatti Scosse, l’ideatrice dell’evento, è la medesima associazione che l’anno scorso ha ricevuto da Roma Capitale il mandato di formare le educatrici degli asili nido e delle scuole dell’infanzia di Roma, attraverso specifici seminari sulle tematiche gender (clicca qui). Simili corsi di formazione rientrano oggi a tutti gli effetti nei “Percorsi didattici per le scuole di Roma Capitale” che l’assessore alla Scuola, Infanzia, Giovani e Pari Opportunità, Alessandra Cattoi, ha presentato ai dirigenti scolastici per l’anno scolastico 2014/2015 (clicca qui).
La verità è che spesso questi tipi di inziative si nascondono sotto le vesti della lotta alla discriminazione, della battaglia avverso la violenza omofoba, della campagna di sensibilizzazione alle “diversità” ma nulla hanno a che fare con la difesa di questi diritti. E perciò, chi prova a contrastare siffatte iniziative viene subito tacciato come omofobo. Ma è tutto il contrario. Anzitutto perché, proprio trattandosi di temi estremamente delicati, quali l’affettività e la sessualità, meriterebbero per questo di essere affrontati con altrettanta delicatezza e rispetto. Non già, come invece accade, strumentalizzati per portare avanti battaglie puramente ideologiche sulla pelle di chi soffre.
Ma il punto è un altro e non ha nulla a che vedere con l’omofobia. Ha invece a che fare con la tutela degli innocenti, con la protezione dei più deboli e indifesi: i nostri bambini. Perché dire a un piccolo che può nascere da due mamme, che papà e mamma non esistono, che nasce maschio ma potrebbe scoprire di essere femmina, che non conta «ciò che è e ciò che vede», ma «ciò che sente e pensa di essere»; dirgli tutto questo significa ingannarlo sfruttando la sua innocenza; significa raccontargli menzogne abusando della sua fiducia; significa educarlo ad un modo stravolto ed estremamente pericoloso di rapportarsi con la realtà. E i danni sono devastanti. Per tutti.
«Quando si abolisce il principio di evidenza naturale, la mente compensa con squilibri psicotici gravissimi. Per questo pensare di introdurre l’uguaglianza dei sessi come normale significa attentare alla psiche di tutti. Penso poi ai più deboli: i bambini. Se gli si insegna sin da piccoli che quel che vedono non è come appare, li si rovina. Non sono solito fare affermazioni dure, dato che gli omosessuali sono persone spesso duramente discriminate, ma non posso non dire che introdurre l’idea che la differenza sessuale non esiste, e che quindi non ha rilevanza, è da criminali. Non conosciamo ancora gli scenari di un mondo disposto a stravolgere la normalità ma li prevedo terribili: l’uomo che obbedisce alla sua volontà e non alla norma si distrugge». Così disse Italo Carta, rinomato psichiatra già ordinario di psichiatria e direttore della Scuola di specializzazione in Psichiatria all’Università degli studi di Milano. Ora dite voi: chi sono i violenti?
di Costanza Signorelli
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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