Asia. Sta crescendo un buddhismo radicale

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23-Fotxo_20Per molti occidentali, il buddhismo consiste nel volere raggiungere l’illuminazione, forse anche il Nirvana, per mezzo di metodi pacifici come la meditazione e lo yoga. Ma in alcune zone dell’Asia si sta manifestando un buddhismo più affermato, veemente e militante. In tre regioni dove il buddhismo è maggioritario, una forma di nazionalismo religioso se n’è accaparrato.

Nello Sri Lanka dove il 70% della popolazione è buddhista theravāda, un gruppo di monaci ha formato il Bodu Bala Sena, la Forza di potenza buddhista, nel 2012 per «proteggere» la cultura buddhista del Paese. La forza, soprannominata Bbs, ha effettuato almeno 241 attacchi contro i musulmani e 61 contro i cristiani nel 2013, secondo il Congresso musulmano dello Sri Lanka.

Nel Myanmar, almeno 300 Rohingya, una minoranza musulmana i cui antenati erano migranti dal Bangladesh, sono stati uccisi e circa 300. 000 sfollati, secondo Genocide Watch. Ashin Wirathu, un monaco che si descrive come il Bin Laden birmano, incoraggia la violenza descrivendo la presenza dei Rohingya come una «invasione» musulmana.

E nella Thailandia a maggioranza buddhista, almeno 5000 persone sono morte nella violenza tra musulmani e buddhisti nel sud del Paese. La Fondazione Conoscere Buddha non è un gruppo violento ma perora per una legge anti blasfemia per punire ogni persona che recherebbe pregiudizio alla fede. Il gruppo milita altresì perché il buddhismo sia dichiarato religione di Stato e dipinge la cultura popolare come una minaccia per i credenti.

Anche se il fondamentalismo è un termine che finora è stato usato principalmente in contesti cristiani, musulmani o induisti, alcuni cominciano a usarlo per descrivere certi buddhisti.

Un buddhista non può essere nazionalista. Maung Zarni, un esule birmano che ha scritto molto sulla violenza in atto nel Myanmar e nello Sri Lanka, fa osservare che nel buddhismo non c’è posto per l’integralismo. «Un buddhista non può essere nazionalista», ha dichiarato questo ricercatore invitato alla London School of Economics. «Per i buddhisti non c’è un Paese. Voglio dire, in questa religione non esiste nulla di simile a “io”, “la mia” comunità, “il mio” Paese, “la mia” razza oppure “la mia” fede». Egli considera inoltre la richiesta di una legge anti blasfemia in Thailandia comne una distorsione del buddhismo che non autorizza alcuna «organizzazione a definire una politica o a regolare il comportamento o i pensieri profondi dei fedeli».

Ma Acharawadee Wongsakon, la maestra buddhista che ha fondato Conoscere Buddha, insiste sul fatto che il Buddhismo ha bisogno di una protezione giuridica e la società deve rispettare certe prescrizioni su ciò che deve essere o non essere fatto. Lei e altri vedono i nuovi movimenti come offerte della «vera conoscenza sul buddhismo».

Il conflitto thailandese tra gli insorti musulmani e i buddhisti locali, rilanciato nel 2004 lungo il confine con la Malesia, fa parte di una controversia di lunga data che oppone i monaci buddhisti e gli insorti musulmani. «Certo che la Thailandia ha la propria forma di razzismo “buddhista” nei confronti dei non buddhisti», riconosce Maung Zarni. «Ma non sono sicuro che la società thailandese andrà nel senso del buddhismo theravāda dello Sri Lanka e del Myanmar, dove il razzismo di natura genocidaria ha contaminato la massa buddhista».

Perché i buddhisti vedono l’islam come una minaccia. Il monaco buddhista Phramaha Boonchuay Doojai, maestro di conferenze al Collegio buddhista di Chiang Mai in Thailandia, dichiara che ci sono ragioni per le quali i buddhisti theravāda vedono l’islam come una minaccia. Fra queste, egli cita la distruzione dell’Università Nalanda in India da parte del generale turco Bakhtiyar Khilji all’inizio del XIII secolo e gli attacchi contro le statue di Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, intorno al VII secolo e, più di recente, da parte dei Talibani, nel 2001. «Migliaia di monaci sono stati bruciati vivi o decapitati quando il generale Khilji voleva sradicare il buddhismo», ricorda il ricercatore.

Maung Zarni pensa che ci siano dei legami tra le reti che egli chiama «anti Dharma» nello Sri Lanka, nel Myanmar e in Thailandia. Il Dharma essendo quel valore buddhista che ingloba la perennità, la legge naturale, i costumi, la virtù o la giustizia. «Queste reti sono tossiche. È un cancro profondamente nocivo a tutti gli umani ovunque».

Di recente, Ashin Wirathu è stato presentato in prima pagina del Time magazine come «il volto del terrore buddhista». Il governo del Myanmar ha vietato quella edizione del settimanale americano. Ma in un’intervista, il monaco ha dichiarato:  «Sono fiero di essere chiamato buddhista radicale». (job)

(Traduzione dal francese di Jean-Jacques Peyronel)

Tratto da: http://www.riforma.it/

 


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