Islamabad (Agenzia Fides) – La Commissione permanente per i diritti umani del Senato del Pakistan ha reso noto che 179 cittadini pakistani si trovano attualmente in detenzione, e in attesa di processo, con l’accusa di blasfemia. Inoltre 17 persone sono già state condannate per il reato di blasfemia e attendono un secondo grado di giudizio. Le statistiche, definite “strazianti” dalla Commissione nazionale per i diritti umani del Pakistan (NHRC) che ha raccolto ed elaborato i dati, sono state diffuse in seguito all’incidente avvento a scorso agosto a Jaranwala, località del Punjab che ha visto una folla violenta distruggere numerose case e chiese, a causa di una presunta accusa di blasfemia a carico di due cristiani (vedi Fides 18/8/2023).
Il senatore Walid Iqbal, presidente della Commissione permanente per i diritti umani del Senato, aveva chiesto dettagli sui casi di blasfemia, auspicando la formazione di un Comitato di coordinamento nazionale all’interno del Ministero dei diritti umani, incaricato di ideare procedure operative standard per affrontare le questioni che causano sofferenza e ingiusta “punizione collettiva” alle comunità minoritarie. Il senatore Iqbal ha espresso preoccupazione per “il dilagante uso improprio delle leggi sulla blasfemia come mezzo per risolvere vendette personali”. La Commissione si è detta determinata ad esplorare misure per prevenire tali abusi ed esaminerà un disegno di legge a tale scopo.
In tale quadro la comunità cristiana ha appreso una buona notizia: i coniugi Kiran Bibi e Shaukat Masih, coinvolti in un controverso caso di blasfemia un mese fa a Lahore, hanno ottenuto la libertà su cauzione il 18 ottobre. Il caso era scaturito dalla denuncia presentata l’8 settembre scorso ai sensi dell’articolo 295-b della legge sulla blasfemia, che punisce la “profanazione del Sacro Corano” e prevede pene severe, incluso il carcere a vita o la pena di morte. Il denunciante, il musulmano Muhammad Tamoor, ha affermato di aver ritrovato pagine del Corano gettate tra i rifiuti dalla casa dei due coniugi cristiani. Il giudice ha notato che il denunciante non aveva assistito personalmente al presunto reato degli accusati. Una indagine sul posto ha suggerito che, presumibilmente, i figli minorenni dei due avevano scartato alcune pagine di un libro di studi islamici di terza media. Il tribunale ha ricordato che un requisito fondamentale per l’accusa di blasfema è il danneggiamento intenzionale del testo Corano e, in questo caso specifico, questo elemento cruciale sembrava mancare, anche in assenza di una testimonianza oculare. La Corte ha così accolto la richiesta di libertà su cauzione e ha indetto ulteriori indagini.
Commenta Nasir Saeed, direttore della Ong “Centre for Legal Aid, Assistance and Settlement” (CLAAS): “Si tratta di una decisione storica, che sottolinea l’importanza di accertare i fatti e garantire che la giustizia prevalga. Spesso i tribunali rifiutano la richiesta di cauzione e lasciano gli accusati, innocenti, in carcere, senza prove. E’ necessario apportare modifiche adeguate alle leggi sulla blasfemia per evitare che individui innocenti soffrano per crimini che non hanno commesso”.
(PA) (Agenzia Fides 19/10/2023)
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