ASIA/CINA – A Xi’an accademici e studiosi riaccendono i riflettori sulla vicenda della antica Chiesa d’Oriente in terra cinese

di Gianni Valente

Xi’an (Agenzia Fides) – La pagoda di Daqin, pur malmessa e inagibile, ancora si staglia tra i monti della contea di Zhouzhi, a qualche decina di chilometri da Xi’an. Quella pagoda – afferma un numero crescente di ricercatori e accademici cinesi – prima di essere acquisita e utilizzata dai buddisti è stata una chiesa, la chiesa più antica ora presente nell’attuale Repubblica popolare cinese. Eretta assimilando i canoni architettonici locali dai primi cristiani giunti nell’Impero cinese lungo l’antica Via della Seta: i monaci della antica Chiesa siriaca d’Oriente, insediatisi in Cina già nella tarda antichità, che accanto alla chiesa-pagoda cristiana avevano costruito anche il loro monastero.
Proprio nell’area attualmente compresa nella diocesi di Zhouzhi fu ritrovata nel 1625 la “Stele nestoriana”, oggi custodita nel Museo della foresta di stele di Xi’an: la reliquia/testimonianza archeologica che attesta l’arrivo del primo annuncio cristiano in Cina per opera dei monaci missionari della Chiesa d’Oriente già nel 635 dopo Cristo. Una copia della Stele è stata posta proprio accanto alla “Pagoda cristiana” di Daquin. Ed è suggestivo il fatto che negli ultimi anni centinaia di vocazioni di sacerdoti e suore cattolici siano fiorite proprio nelle città e nei villaggi montani della diocesi di Zhouzhi, luoghi legati all’arrivo e agli inizi del cristianesimo in Cina.
La stele, costruita nel 781, rappresenta (come si legge nella sua intestazione – il “Memoriale della Propagazione della Luminosa Religione di Da Qin in Cina”. In lingua cinese, il termine Da Qin indicava originariamente solo l’Impero romano. Poi l’espressione fu utilizzata per riferirsi proprio alle comunità della Chiesa siriaca che si erano stabilmente insediate in Cina.
Più di mille anni dopo, studiosi e accademici della Cina continentale tengono accesi i riflettori su quegli inizi della vicenda cristiana in terra cinese spesso dimenticati, rimossi e sconosciuti nelle accademie d’Occidente. Lo si è visto al 2024 Xi’an International Jingjiao Forum, Il Convegno internazionale 2024 sulla Chiesa siriaca d’Oriente (Jingjiao in cinese) svoltosi dal 5 al 7 luglio presso lo Shaanxi Hotel di Xi’an.

Un Convegno di studi cristiani

Il 2024 Jingjiao Forum, intitolato “Nuovi orientamenti, nuovi materiali storici e nuove scoperte”, è stato organizzato dall’Istituto di studi sulla Via della Seta della Università cinese del Nord Ovest, e ha riunito insieme più di 20 relatori provenienti da istituzioni della Cina Continentale, di Macao e dell’Italia. Al convegno hanno preso parte anche sacerdoti di diverse diocesi cinesi (Xi’an, Shanghai, Pechino).
Alcune relazioni hanno fatto il punto sulle acquisizioni recenti delle campagne archeologiche realizzate nei luoghi dove sorgevano importanti presidi della Chiesa d’Oriente in terra cinese. Ricerche che permettono di ricostruire i ritmi e le prassi della vita quotidiana di quelle comunità cristiane raccolte intorno ai monasteri. Il ritrovamento nei siti di oggetti appartenenti a epoche diverse – ha sottolineato Liu Wensuo della Università Sun Yatsen nella sua relazione dedicata agli scavi nel sito archeologico di Turfan – attestano che la presenza di sedi e comunità della antica Chiesa d’Oriente in Cina si è protratta per centinaia di anni.
Altri contributi di taglio storico, storiografico e teologico-dottrinale hanno offerto dati e spunti preziosi per cogliere la portata di quella esperienza e le vie che permisero l’incontro fecondo tra quella cristianità e la Cina durante le dinastie Tang (618-907 d.C.) e Yuan (1272-1368 d.C).

I monaci della Chiesa d’Oriente, arrivati dalla Persia lungo la Via della Seta – ha sottolineato il professor Roberto Catalano, dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano (Italia) – erano pochi, non seguivano un’agenda politica o un “progetto” per convertire l’Impero cinese. Soprattutto all’inizio, praticarono uno stile di annuncio “itinerante” simile a quello dei primi Apostoli, presentando il cristianesimo non come una «religione da imporre» ma come «umile proposta», dono da offrire in un contesto plurale e interreligioso. La loro presenza non si pose come forza “antagonista” rispetto all’ordino sociale e politico: chiesero e attesero il consenso dell’Imperatore, il cui ritratto veniva esposto nelle chiese per mostrare a tutti di aver ricevuto l’autorizzazione imperiale.

Al loro arrivo in Cina, nell’opera di esporre a altri popoli la fede in Cristo, i monaci assimilarono termini ripresi dal buddismo, dal taoismo e dalle fonti classiche cinesi. In questo modo – ha rimarcato nel suo intervento don Andrea Toniolo, Preside della Facoltà teologica del Triveneto – loro tentarono «una sintesi teologica in cinese con linguaggio culturalmente diverso da quello di origine semitico o greco romano». Per queste vie – ha confermato il professor Liu Guopeng, ricercatore presso l’Accademia cinese delle Scienze Sociali – si è compiuta sul campo una certa integrazione tra la fede cristiana e il linguaggio del pensiero taoista. Anche la venerazione verso la Vergine Maria, la madre di Gesù – ha documentato nel suo intervento Ding Ruizhong, della Accademia di Scienze sociali dello Shaanxi – è stata proposta con forme e accenti familiari alle tradizioni ancestrali della cultura cinese.

L’avventura della antica Chiesa d’Oriente in Cina, raccontata nella stele di Xi’an, era ben presente al gesuita portoghese Manuel Dias e ai suoi confratelli italiani Giulio Aleni e Martino Martini, che nel XVII secolo cercavano nuove vie di incontro per annunciare il Vangelo nella società e nella cultura cinese. Le relatrici Teresa Hou Xin (Università Wanli dello Zhejiang) e Yang Hongfan (Università Normale del Fujian) hanno documentato come la vicenda della Chiesa d’Oriente in terra cinese sia rimasta un punto di riferimento, un’esperienza storica percepita come un “miracolo divino” a cui riallacciarsi per ogni autentico “nuovo inizio” del cristianesimo nella Terra di Mezzo.
Anche un autorevole drappello di studiosi e accademici cinesi ha valorizzato l’avventura missionaria di Jingjiao come esperienza storica in cui le comunità cristiane, portatrici di un annuncio di salvezza giunto dal Medio Oriente, nella terra di Confucio non venivano più percepite come espressioni di una “religione straniera”. Un riconoscimento – ha chiarito nella sua relazione la professoressa Yin Xiaoping della South China Agricultural University – in cui si sono meritoriamente distinti soprattutto gli studiosi e i ricercatori dell’Università di Lingnan, solerti nell’attestare che quelle comunità avevano percorso strade feconde di adattamento al contesto cinese. Invece, la lettura applicata alla Jingjiao dalla storiografia e dalla pubblicistica fuori dalla Cina è apparsa a più riprese ambivalente. A partire dalla metà del XIX Secolo – come ha riferito nel suo intervento Paolo De Giovanni, docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – circoli accademici occidentali misero anche in dubbio l’autenticità e l’esistenza stessa della Stele di Xi’an. C’era diffidenza per quel reperto storico che infrangeva «il mito della Cina refrattaria e chiusa», visto che attestava l’opera di imperatori cinesi divenuti protettori dei cristiani. Nelle riletture prevalenti negli ambienti missionari, soprattutto evangelici e protestanti, il successivo venir meno di quella rete di monasteri e sedi episcopali veniva bollato come un fallimento storico, e tutta la lunga vicenda della Chiesa d’Oriente in Cina veniva ricondotta all’unica cifra di quel fallimento, attribuito da quegli ambienti proprio alla eccessiva attitudine mimetica di quella Chiesa, che appariva ai missionari occidentali moderni esitante nel proporre la propria “identità” fino a non differenziarsi dai seguaci del buddismo o del taoismo. Solo alcuni studiosi orientali offrirono anche in quegli anni un punto di vista diverso e innovativo sulla avventura missionaria della antica Chiesa d’Oriente: il giapponese Yoshiro Seki, nel libro The Nestorian Monument in China, descrisse quella presenza di vescovi, monaci e battezzati protrattasi per secoli nei territori della Persia, della Mongolia e della Cina come una “civiltà cristiana” per certi versi analoga a quella che in quegli stessi secoli stava prendendo forma in Europa.

La Chiesa d’Oriente “sparita” e la “sinicizzazione”

Il Convegno di Xi’an si è concluso confermando l’opportunità di approfondire studi e scambi culturali intorno alla vicenda storica della Chiesa d’Oriente in Cina. Accademici cinesi manifestano esplicitamente l’intenzione di studiare e valorizzare quell’incontro tra il cristianesimo e la civiltà cinese avvenuto molto prima dell’inizio della modernità occidentale.
In quell’incontro, una comunità portatrice dell’annuncio cristiano giunse in Cina non per imporsi come “prodotto d’importazione”. Attraverso processi lunghi e pazienti l’esperienza cristiana potè fiorire adattandosi al contesto culturale e socio-politico della Cina delle dinastie imperiali Tang e Yuan.
Oggi, l’interesse di studiosi e accademici cinesi per le vicende della Chiesa d’Oriente in Cina potrebbe offrire spunti interessanti anche riguardo al tema della cosiddetta “sinicizzazione” che gli apparati cinesi richiedono alle comunità di credenti. Il confronto con le dinamiche reali dei processi storici può sempre aiutare a sgombrare il campo da equivoci, rigorismi, meccanicismi e forzature ideologiche. (Agenzia Fides 17/7/2024)

https://fides.org/it/news/75218-ASIA_CINA_A_Xi_an_accademici_e_studiosi_riaccendono_i_riflettori_sulla_vicenda_della_antica_Chiesa_d_Oriente_in_terra_cinese


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