Asia Bibi: gli attivisti per i diritti umani ne chiedono il rilascio, ancora una volta. L’occasione per ribadirlo è stata la Conferenza dedicata a colei che mai ha smesso di lottare per i diritti delle minoranze, l’avvocato pakistano Asma Jahangir.
L’evento era titolato “Giustizia, chiave per l’emancipazione” e ha dichiarato, per bocca del professor Farooq Salheria, dell’Università Beaconhouse di Lahore: “Appare oramai ovvio che l’accusa non è riuscita a provare le accuse di blasfemia mosse contro Asia Bibi. E l’ultima udienza di questo processo, iniziato nel 2009, fa ben sperare per un rilascio. Ma allo stesso tempo i fatti dimostrano che i giudici hanno paura delle reazioni del mondo islamista”.
Asia Bibi è una donna cristiana, una madre di famiglia che, in un Paese musulmano, sta subendo una sorte ingiusta ed un vero e proprio martirio.
Nel Giugno del 2009, dunque ben 9 anni fa, in un villaggio del Pakistan, venne accusata di aver contaminato l’acqua, perché vi aveva immerso la sua tazza.
Per la legge Pakistana, evidentemente, musulmani e cristiani non possono bere alla stessa fonte; aver disobbedito a questo costò ad Asia Bibi un’accusa di blasfemia.
Dopo essere stata picchiata, torturata e arrestata, sotto gli occhi delle sue figlie, ora sta consumando la sua vita in carcere, in isolamento, attendendo addirittura l’esecuzione.
Lei, infatti, è una di quelle persone condannate a morte, per impiccagione, per motivi religiosi, perché ritenuta “avversa” popolo islamico.
Una delle figlia di Asia, Eisham Ashiq, è riuscita a far arrivare la storia della mamma anche a Papa Francesco ed ora la Corte Suprema pakistana sta riesaminando i fatti, che la portarono alla condanna.
L’avvocato di Asia Bibi, Saiful Mulook, ha dichiarato: “Abbiamo sottolineato come le prove a carico della donna fossero insufficienti. Il caso è montato su una accusa di blasfemia, denunciata da un imam locale che non ha assistito al diverbio tra Asia e le sue colleghe musulmane, durante il quale la donna cristiana avrebbe commesso blasfemia. Inoltre, abbiamo fatto notare ai giudici come il capo della polizia di Ittanwali, vicino a dove è accaduto il fatto, non ha profuso sufficienti sforzi per verificare le accuse”.
Ma la Corte Suprema ha preso tempo, prima di pronunciarsi, probabilmente teme la reazione degli islamisti, che sono arrivati a minacciare chiunque: “Se non sarà fatta giustizia e la condanna di Asia sarà trattata con indulgenza o con leggerezza o cercherà di fuggire in un altro Paese, ci saranno conseguenze pericolose”.
In Pakistan, purtroppo, il partito radicale Tehreek-e-Labbaik ritiene le Organizzazioni umanitarie, che difendono la donna, nemiche della loro Nazione, della loro cultura, come se ostacolassero quella che loro ritengono essere giustizia.
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