Come denunciato dal Comité de soutien aux droits de l’homme en Iran (CSDHI, fondato venti anni fa da dissidenti e vittime della repressione in Iran rifugiati in Francia) Sara Deldar, originaria di Rasht, una prigioniera politica iraniana che aveva partecipato alle manifestazioni di massa del 2022, è deceduta in carcere per mancanza di cure adeguate.
La morte sarebbe sopraggiunta a causa delle complicazioni, tra cui una grave infezione, conseguenti alle ferite da colpi di arma da fuoco (di provenienza governativa) subite durante le proteste. La sua salute avrebbe continuato a peggiorare anche dopo essere uscita di prigione (in libertà condizionata) fino al tragico epilogo.
Infermiera di professione, era rimasta colpita mentre interveniva per soccorrere altri manifestanti feriti. Arrestata, processata e condannata a un anno e tre mesi di detenzione, veniva rinchiusa nel carcere di Lakan, a Rasht.
Nel suo ultimo messaggio del 21 luglio 2024, Sara Deldar aveva denunciato le dure condizioni di detenzione subite e parlato della infezione divenuta cronica che l’aveva afflitta sia in carcere che fuori. A cui si era aggiunta una grave anemia, l’ipertrofia della milza e serie complicazioni (sempre a causa dell’infezione non curata) ai reni e alle ovaie.
Soffriva inoltre di fegato (si ritiene che necessitasse di un trapianto).
Il suo non è un caso isolato. Sara aveva ricordato che tante altre detenute politiche versano nelle medesime condizioni, vittime dell’insalubrità della prigione e della negligenza (eufemismo) dei carcerieri. Diverse donne rimaste colpite durante le proteste le avevano confermato che in qualche caso le pallottole erano state lasciate nei loro corpi senza venir estratte e tantomeno senza che venissero curate adeguatamente le ferite. Di conseguenza molte di loro soffrivano di acuti dolori (a cui cercano di porre rimedio con gli analgesici), di debilitazione e di insonnia.
In un precedente messaggio, a un anno da quando era stata portata direttamente dal tribunale alla prigione, Sara aveva scritto:
“Domani è il primo anniversario di quando sono entrata nel carcere di Lakan. Non provo né risentimento, né paura, né rimpianto. Non mi sono nemmeno posta la domanda se avrei potuto agire diversamente. Non ho fatto nulla di male se non curare i feriti. Rifiutandomi di tacere di fronte all’ingiustizia. La mia coscienza mi ha guidato e non sto scrivendo altro che la verità”.
Sempre secondo CSDHI, il Ministero iraniano dell’Interno avrebbe contattato la famiglia facendo pressioni affinché la morte della giovane rimanesse un “fatto privato”. Costringedola a una cerimonia funebre a cui hanno partecipato soltanto pochi familiari sotto il controllo stretto delle forze dell’ordine.
Negli ultimi anni diversi prigionieri politici sono deceduti per ragioni di salute. Sia per problemi preesistenti (ma comunque aggravati dalla detenzione), sia come conseguenza diretta delle pessime condizioni carcerarie. E soprattutto della mancanza di cure.
Solo quest’anno, tra il 30 maggio e il 15 agosto, sono almeno 34 i prigionieri politici a cui sono state negate cure adeguate.
Ovviamente sappiamo anche che questi metodi (un supplemento di pena) non rappresentano una prerogativa esclusiva
dell’Iran.
Gianni Sartori