Armi per tutti

istock_000078013243_large-webL’Italia è fra i maggiori esportatori al mondo di armamenti. Moltissimi di questi finiscono a nazioni che poi combattiamo. Vediamo dove.

Terza guerra mondiale? Nuove forme di conflitto, striscianti e non dichiarate? Guerra del terrore?

L’attuale contesto geopolitico si presta a infinite disamine, che stanno riempiendo palinsesti e colonne di giornali. Difficile districarsi fra matasse che coinvolgono religione e denaro, territori e odi atavici. Un fattore comune, un fil rouge si può però scorgere, e agguantandolo possiamo rilevare da dove arrivano tutte quelle bombe che entrano nelle nostre case dalle televisioni, e sempre di più anche vicino a noi, in mezzo a noi.

I dati sono ufficiali, estratti dal rapporto annuale dell’Unione Europea sull’export di armi e dalle relazioni parlamentari del nostro paese: dal 2001 al 2011 l’Italia ha venduto armi, leggere e pesanti, equipaggiamenti e mezzi militari per un totale di 36,5 miliardi di euro, una bella fetta di mercato che non ha conosciuto la crisi economica che ha colpito il pianeta dal 2007 in poi. Anzi.

In alcuni rami di questo mega settore ci sono riconosciuti una serie di primati: siamo il maggior esportatore mondiale di armi comuni, pistole, il 19,5 % di tutto il commercio, prodotte soprattutto nel bresciano, nel distretto della val Trompia. Beretta in questo ambito il nome più noto, ma non certo l’unico.

In generale siamo fra i primi cinque produttori di armi al mondo, e sul podio fra gli esportatori, davanti a colossi come la Cina, che ci incalzano, ma a cui non vogliamo cedere posizioni.

Nel 1990 entrava in vigore la legge 185 che doveva regolamentare il settore della vendita delle armi, e che contiene al suo interno indicazioni e divieti, come quello di cedere armamenti di qualsivoglia specie alle nazioni in stato di conflitto armato o in cui la politica contrasta con i precetti dell’articolo 11 della nostra Costituzione, quello che recita che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

Vediamo come è andata: da allora abbiamo venduto armi a 123 nazioni. E se gli Stati Uniti e gli altri paesi dell’Unione Europea sono i nostri i partner privilegiati, il portafoglio di clienti si presenta comunque assai ampio e annovera aree calde, in cui i conflitti ci sono eccome: Arabia Saudita, Emirati Arabi, Egitto, Libia, Siria, Kazakistan, Russia, India, Pakistan, Ciad, Eritrea, Nigeria, Turchia.

Nel 2014 in Nord Africa e nel Vicino e Medio Oriente sono finite il 28 per cento delle armi italiane. A certe latitudini non è il binomio pizza mandolino, e nemmeno la Ferrari, a renderci noti.

Parliamo di aree in cui si stanno combattendo tutti i principali conflitti dei nostri giorni, dalle cui case arrivano gli sterminati flussi umani di questi anni, i migranti che muoiono in mare a decine di migliaia o che “invadono” il nostro caro vecchio continente.

L’Arabia Saudita è il primo partner non europeo dell’Italia per gli equipaggiamenti militari. Dal 2001 al 2011 vi abbiamo esportato aerei e droni per 1,3 miliardi di euro. Oggi il ricchissimo paese è impegnato in un conflitto terribile con lo Yemen, ed è accusato di essere fra i grandi finanziatori dell’Isis.

Nello stesso periodo l’Italia è il primo paese europeo per vendite alla Siria di Assad. Su quasi 28 milioni di euro di equipaggiamenti, 17 provengono da casa nostra, in particolare i mirini dei carri armati. Al secondo posto c’è la Gran Bretagna con 2,5 milioni, staccatissima. Dilettanti.

Non serve ricordare la situazione geopolitica di Damasco e come l’uso di queste armi certamente abbiano coinvolto la popolazione civile: la precisione degli spari è tutto merito nostro.

La Turchia è il paese che ha acquistato la maggior quantità di armi pesanti (cioè di calibro superiore a .50) dall’Italia. Il totale supera i 60 milioni di euro. Sono gli italianissimi elicotteri della Agusta Westland, azienda che fa parte della holding Finmeccanica, fra i colossi mondiali del settore, a sparare sui ribelli curdi e sulle teste di chissà chi altro ancora.

Siamo i migliori partner europei anche per Israele, che da noi riceve il 41% degli armamenti acquistati nel vecchio continente.

L’Algeria è il primo acquirente di navi e sottomarini italiani. Dal 2001 al 2011 le vendite di questi equipaggiamenti hanno superato i 400 milioni di euro. Grandi manovre.

100 milioni di euro in veicoli terrestri sono finiti nell’esercito di Putin, pronti a venire impegnati laddove le strategie dell’ex funzionario del Kgb li porteranno.

Di contro l’Italia è impegnata al momento in 26 missioni internazionali con circa 5 mila militari in 38 nazioni, per un costo per le nostre tasche nel 2015 di circa un miliardo e 200 milioni.

E spesso sono le armi di produzione nostrana a sparare contro i nostri ragazzi che piangiamo quando tornano stretti nelle bandiere tricolori.

Siamo in buona compagnia se è vero che soltanto ieri il Dipartimento di Stato statunitense ha approvato la vendita di armi all’Arabia Saudita per un valore di 1,30 miliardi di dollari, comprese 13 mila bombe “intelligenti”, armi satellitari capaci di colpire a grande distanza. E commesse simili fanno la gioia di Inghilterra e Russia, Cina e Francia.

Armiamo le nazioni e poi andiamo a combatterle, è la nostra specialità.

Claudio Geymonat | Riforma.it

Images ©iStockphoto.com/abezikus

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