Armato del Vangelo

A fine 2018 ha fatto il giro dei media la notizia della morte di John Allen Chau, un ventisettenne americano, infervorato dall’amore di Dio e armato del solo Vangelo. Molti lo avranno reputato semplicemente come l’ennesimo matto in cerca di avventura o di qualche selfie estremo. La sua storia mi ha comunicato tutt’altro, portando in auge che tra tanti leoni della tastiera, pronti a sbranare chiunque e/o a nutrirsi del lavoro di altri, c’è qualche eccezione che merita menzione e attenzione.

Ricostruiamo prima quanto accaduto nel mezzo dell’oceano indiano. A chi non avesse idea del posto, siamo a ridosso di quell’area del globo terrestre dove Salgari ha collocato le storie di Sandokan e dei suoi tigrotti di Mompracen, contro l’invasione delle giubbe inglesi alla fine del 1800. L’isola di North Sentinel, nel golfo del Bengala, fa parte dell’arcipelago delle Andamane, e qui le autorità indiane hanno vietato l’accesso per preservare le tradizioni della tribù indigena e la fauna endemica, necessaria al loro fabbisogno. Infatti, la tribù degli indigeni locali, che vi vivono da sessantamila anni, rifiuta qualsiasi contatto con l’esterno, al punto che quella dei Sentinelesi è considerata la tribù più isolata del mondo e il governo indiano ha rinunciato da anni, dopo numerosi tentativi non andati a buon fine, a stabilire ogni forma di contatto.

 

Il giovane americano, figlio di un rifugiato cinese arrivato negli States durante la Rivoluzione Culturale (fine anni sessanta), era laureato in Medicina di Emergenza all’università cristiana Oral Roberts in Oklahoma, e si era sempre dedicato ad aiutare gli altri, mosso dalla sua fede in Cristo. Volontario in un campo che accoglie bambini profughi a Tulsa (USA), aveva vissuto per due anni in Iraq e in Siria lavorando per la noprofit “More than a game” che insegna a giocare a pallone ai bambini delle zone di guerra. Cosa lo abbia spinto a sfidare la proibizione del governo indiano, pagando alcuni pescatori per farsi accompagnare dai Sentinelesi, possiamo solo immaginarlo. Mat Staver, fondatore della congregazione «Covenant Journey» di cui Chau faceva parte dai tempi dell’università ha dichiarato che John sognava di predicare su quell’isola sin da ragazzo.

 

Dopo essere arrivato il 16 ottobre in zona ha impiegato un po’ di tempo per portare a compimento il suo progetto evangelistico. Il 15 novembre è sbarcato sulle rive una prima volta, cercando un approccio con forbici, pesci e palloni da calcio e dichiarando subito il suo intento di diffondere anche a loro il messaggio cristiano. Gli indigeni non hanno accolto favorevolmente il suo tentativo ed hanno reagito con un lancio di frecce, una delle quali si è conficcata nella Bibbia di John. Scampato miracolosamente al primo tentativo, Chau non ha desistito, ma ha deciso di proseguire nel suo intento. Rifugiatosi nella barca dei pescatori, attraccata a poche miglia di distanza dalla spiaggia, vi ha trascorso la notte raccontando la sua esperienza in un diario il cui contenuto è stato pubblicato dal portale indiano “The News Minute”: «Alcuni di loro si erano mostrati “buoni”, altri “arrabbiati e molto aggressivi”… Sto cercando di stabilire il regno di Gesù sull’isola… penserete che sono pazzo… non condannate i nativi se sarò ucciso». I pescatori che lo avevano accompagnato hanno raccontato che tornato sull’isola il giorno successivo in canoa, John è stato immediatamente travolto da una pioggia di frecce. Senza arrendersi ha continuato a camminare verso gli indigeni che a quel punto lo hanno catturato e trascinato via.

La storia di John somiglia a lunghi tratti a quella di Don Richardson, un altro missionario che decise di raggiungere la tribù cannibale dei Sawi nella Nuova Guinea e raccontata nel libro “Il figlio della pace” (EUN), ma con esito migliore. John, Don, e chissà quanti altri, sono stati capaci di rischiare e deporre la vita per il bene di un popolo a loro estraneo, perché l’annuncio del Vangelo è bene eterno. Al loro pari potremmo affiancare i tanti giovani volontari del terzo settore i quali non sono in cerca di thriller o fama mediatica, come quelli che “pazzamente” scalano i grattacieli per selfie mozzafiato o quelli che camminano sui binari ferroviari o sui davanzali di casa. Come stupirci se c’è ancora qualcuno disposto a rinunciare alle comodità, alle tranquillità domestiche? Che tristezza i messaggi di chi invece li denigra o li deride per le loro scelte, quasi fossero artefici del loro destino e che non meriterebbero alcuna attenzione e/o menzione. Penso che gli autori di questi messaggi facciano parte della famiglia della volpe di Fedro.

Davanti a popoli che devono ancora ricevere l’annunzio della “buona novella” di Cristo, e la crescente indifferenza della gran parte dei cristiani verso tale necessità, c’è chi ha fatto di questo messaggio la sua ragion d’essere. Sono solo pochi però i crociati senza armi, ambasciatori senza scorta, conquistatori senza pretesa, pedine del piano imperscrutabile di Dio di portare a compimento la Sua parola, e nei cui occhi si legge l’attesa del Signore, quelli come John, che ha tratto la sua ispirazione per la vita da Gesù. “E questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, affinché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; allora verrà la fine” (Matteo 24:14). Sarà anche grazie a loro se la Scrittura troverà adempimento. Attraverso di loro posso ritenere che, anche ai nostri giorni, non mancano ad ogni latitudine moderni Abramo, che lasciano la loro Ur dei caldei e intraprendono un viaggio lasciandosi accompagnare dal loro Dio. E quando come è accaduto a giovane John ci sarà un epilogo tragico siamo invitati a leggere il tutto con gli occhi di Dio, il quale ha un metro di misura differente dal nostro ed eterno. La fede ci invita ad avere fiducia in Dio anche di fronte a simili circostanze poiché Egli ha tutto nelle Sue mani. Gloria a Dio, per questi giovani, preziosi ai miei occhi. Chissà se il loro sacrificio possa ispirare altri a “deporre la propria vita” per ritrovarla, come promesso dal Signore.

Come padre sono consapevole che dietro a un giovane che parte per la missione, ci sono genitori che li lasciano andare, e che li hanno educati e preparati per quel momento. Nel caso di John poi, onorando le ultime parole scritte, i suoi cari hanno perdonato i responsabili dell’uccisione ed hanno invitato le autorità indiane a rilasciare i pescatori arrestati per aver aiutato il ragazzo a raggiungere la riva proibita. Questo è solo cristianesimo: amore e perdono. Sono queste le persone che mettono in crisi, e per questo vi lascio con un interrogativo: Saresti altrettanto disposto a rinunciare a tuo figlio o lo tratteresti dalla sua spinta missionaria?

Elpidio Pezzella

https://www.elpidiopezzella.org/post/armato-del-vangelo


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