Approfondiamo la «COSCIENZA» … nella Bibbia

65860_150785748296917_5454723_n-300x222Il termine «coscienza» (συνείδησις/syneidesis) gode di 32 occorrenze nel Nuovo Testamento. (Gv 8:9 con qualche chiarezza tra l’originale e la traduzione; At 23:1; 24:16; Rm 2:15; 9:1; 13:5; 1 Cor 8:7, 10 e 12; 10:25, 27, 28, 29, 29; 2 Cor 1:12; 4:2; 5:11; 1 Tim 1:5, 19; 3:9; 4:2; 2 Tim 1:3; Tito 1:15; Eb 9:9, 14; 10:2, 22; 13:18; 1 Pt 2:19; 3:16; 3:21.Manca del tutto nel Primo Testamento anche nella sua greca del LXX. Possiamo meravigliarci fino a quando non entriamo con debita cautela nell’antropologia del Primo Testamento che presenta l’uomo nel suo essere di fronte a Dio che si rivela e rivela. Il Salmo 139 costituisce una pagina classica che si apre con la umanissima affermazione:«Signore, tu mi hai investigato/esaminato e tu mi conosci … tu comprendi da lontano il mio pensiero …» (vv 1-2). L’onnipresenza di Dio è posta in relazione al sé dell’uomo. Il pio ebreo trova la conoscenza del sé non nell’uomo ma in Dio. In realtà, come ben riassume C. Maurer, «la riflessione veterotestamentaria dell’Io su se stesso è l’ascolto ubbidiente di Dio. In tal modo anche l’Io che si trova interiormente in uno stato di conflitto diventa una persona unitaria, che sta di fronte al Dio che parla.

La coscienza si trasforma in ascolto, nel senso di un’appartenenza intenzionale. La voce di Dio e la propria voce vengono a coincidere, non nel senso di un potere autonomo della ragione, bensì nel senso di un accordo frail proprio io e la volontà di Dio» (dal ‘Kittel’). Nella narrazione biblica ci imbattiamo, per es,, nei fratelli di Giuseppe che tra loro dicono: «Certamente noi fummo colpevoli nei riguardi di nostro fratello, non vedemmo l’angoscia dell’animo suo quando egli ci supplicava, ma non gli demmo ascolto! Ecco perché ci viene addosso quest’angoscia» (Gn 42:21). A Davide: «… il cuore gli battè per aver tagliato il lembo del mantello di Saul» (1 Sam 24:6), ed ancora: «… Davide … provò un rimorso al cuore, e disse al Signore: “ho gravemente peccato in quel che ho fatto: ma ora, o Signore, perdona l’iniquità del tuo servo, perché ho agito con grande stoltezza”» (2 Sam 24:10). «… il mio signore non avrà questo dolore e questo rimorso di avere sparso del sangue senza motivo…» (1 Sam 25:31).

Si pensi alla irrequietezza di Caino (Gn 43:13-14) ed al senso di colpa espresso da Adamo ed Eva (Gn 3:7 e ss.) In questo ed in altri tantissimi episodi non si parla di coscienza; manca il termine ma non il vissuto alla presenza di Dio. Se dovessimo configurare nel Primo Testamento il nostro concetto di coscienza dovremmo/potremmo usare la delicatissima espressione «cuore puro». Ricordo il bellissimo Salmo 51 che al v. 10 recita: «O Dio, crea in me un cuore puro…» (ma l’intero Salmo è un inno alla coscienza che grida al Signore). E da sempre è anche mia la esortazione: «Più di ogni altra cosa, custodisci il tuo cuore, poiché da esso provengono le sorgenti della vita» (Prov 4:23). Seguire le espressioni che indicano il cuore – una chiave biblica può aiutare bellissimo Salmo 51 che al v. 10 recita: «O Dio, crea in me un cuore puro…» (ma l’intero Salmo è un inno alla coscienza che grida al Signore).

E da sempre è anche mia la esortazione: «Più di ogni altra cosa, custodisci il tuo cuore, poiché da esso provengono le sorgenti della vita» (Prov 4:23). Seguire le espressioni che indicano il cuore – una chiave biblica può aiutare – significa poter entrare nel nostro tema dall’angolo visuale del Primo Testamento.

Se analizziamo i vari loci ove occorre il termine coscienza (συνείδησις/syneidesis) ci rendiamo conto facilmente che era penetrato nella cultura ebraica, provenendo dalla cultura ellenistica, Occorre tener presente il lungo periodo intertestamentario (circa 400 anni!), cioè quell’arco di tempo che – tanto per intenderci – va da Malachia (Primo Testamento) all’evangelo di Marco/Matteo (Nuovo Testamento); è in questo periodo che assistiamo ad una ellenizzazione del pensiero e della cultura ebraica Troviamo il nostro termine nel libro della Sapienza (17:10 o 11) del primo secolo a.C..

Nelle sole epistole ai Corinti il termine coscienza ricorre ben 11 volte e sei volte ricorre nelle pastorali (Timoteo e Tito). Manca del tutto nei Vangeli. La sola volta che lo incontriamo è nell’evangelo di Giovanno 8:9, ove Diodati riporta «convinti dalla coscienza», frase che non si trova negli originali (Molti manoscritti dopo le parole «Quando essi udirono ciò …» aggiungono «e accusati dalla loro coscienza» un’aggiunta obiettivamente giusta ma inutile (R. Schnackenburg. Così anche il Godet).

Nel pensiero di Paolo il termine coscienza sembra adoperato sulla scia del pensiero ebraico, quindi nel suo senso tipicamente religioso, quindi proprio dell’uomo che si sente alla presenza di Dio. Rom 13:5 segnala l’importanza della sottomissione alle autorità ma solo perché ‘dietro’ alle autorità si riconosce Dio che le ha volute. Il v. 6 lo conferma quando accenna al pagamento delle tasse, cosa questa che significa sentirsi sottomessi ad un ordinamento voluto da Dio. Un testo che in modo del tutto particolare sembra indicare una coscienza che fibrilla perché in una sorta di conflitto con altra componente della propria inseità è Rom 7:15-25. È la celebre descrizione di un conflitto di coscienza nel suo rapportarsi con i propri istinti creaturali/naturali. V’è qualche motivo che rimanda ad una nota dichiarazione di Ovidio (Metamorfosi, 7, 20, ma tratta dalla letteratura greca, «Video meliora proboque: / deteriora sequor» (Vedo le cose migliori le approvo, le lodo, ma seguo il mio istinto e faccio le peggiori. Giovanno Crisostomo, a suo tempo (350-407), si soffermò su questa frase nello spirito del pensiero paolinico.

Il brano di Paolo è senz’altro autobiografico ma rappresenta un paradigma al quale può rifarsi la nostra personale esperienza quotidiana. «In chiave di biologia pneumatica le cose stanno nei seguenti termini: l’immissione nella sfera della grazia attua un principio di metamorfosi del vecchio organismo ma il residuo (: residuo carnale, di G. Calvino) ancora docile ai vecchi impulsi peccaminosi, “muove guerra allo spirito”; nei contagiati dallo spirito la carcassa mortale è dunque il teatro di una teomachia. Tale l’archetipo della lotta cristiana» (F. Cordero). Si tratta di esperienze e di sensibilità successive alla conversione, alla presa di coscienza di una reale relazione con Dio e dell’agire dello Spirito che opera unitamente al nostro spirito. Gli scrittori biblici spesso parlano di buona o cattiva coscienza, ma anche di coscienza come «consapevolezza» e «presa di coscienza», come di «perfezionare» o «purificare» la coscienza (Eb 9:9,14)

La «coscienza» è tema come «Tebe dalle cento porte», si può entrare da qualsivoglia punto, purche si sappia pensare, volere e sentire con purezza di cuore. Il nostro incipit è quello della rivelazione biblica che apre ad orizzonti infiniti. Noi sceglieremo il sentiero che può aiutarci in una sorta di ‘iniziazione all’argomento.

Mario Affuso

Fonte


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