Tyler VanderWeele, Professore di Salute Pubblica presso la Harvard School, afferma che nella crescita esponenziale delle morti per suicidio, uso di droghe o alcol in corso nella nostra società occidentale, cosiddetta civilizzata, frequentare la chiesa può risultare decisivo ai fini della salute mentale e fisica di una persona.
I benefici correlati con la frequentazione di una comunità di credenti sono molteplici, e tutto ciò è opportunamente “certificato” da documenti, ricerche scientifiche e studi di carattere sociologico e psicologico. Perfino psicologi statunitensi dichiaratamente atei, come Jonathan Haidt, affermano: “I sondaggi hanno dimostrato da molto tempo che i credenti negli Stati Uniti sono più felici, più sani, più longevi e più generosi verso il prossimo di quanto non lo siano le persone laiche” (Fonte consultata il 13 luglio 2020).
Ora, secondo quanto riporta l’Istat, anche in Italia non stiamo messi bene: circa 200 decessi per suicidio l’anno, su poco meno di 4.000 totali, riguardano ragazzi sotto i 24 anni. E poi c’è l’autolesionismo, anch’esso pericoloso e in forte crescita. A settembre 2019, nella giornata mondiale di prevenzione al suicidio, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma diffondeva dati allarmanti: le richieste urgenti in Pronto Soccorso per ideazione e comportamento suicidario negli ultimi otto anni sono aumentate di 20 volte, coinvolgendo anche bambini di 10-11 anni (Fonte, consultata il 13 luglio 2020).
La crisi Covid-19 ha generato una ulteriore ondata di suicidi a livello mondiale: l’isolamento, la crisi economica, l’insicurezza sul futuro… sono tutti fattori che destabilizzano la psiche umana con le conseguenze letali che ne derivano. Ebbene, gli scienziati dicono che andare in chiesa salva la vita: la preghiera, il canto, l’incontro [seppure distanziato] con il prossimo, l’ascolto, la meditazione sono tutti elementi che, carte alla mano, contribuiscono alla salute psichica e fisica di un credente.
… mentre la pietà è utile a ogni cosa (I Timoteo 4:8).
Quanto fin qui detto è interessante, e auspicabile dal punto di vista medico, ma se è vero, sempre carte alla mano, che frequentare la chiesa è utile al fisico e alla mente, è sicuramente ancora più utile allo spirito. Andare in chiesa salva la vita spirituale del credente! Durante il periodo di lockdown, e quindi di isolamento forzato dovuto al Covid-19, ci si è trovati costretti ad adottare comportamenti diversi dai consueti, anche per quanto riguarda la partecipazione ai culti. Tutti sappiamo del proliferare di ogni sorta di iniziative digitali [chi scrive ha adottato la sua]: Zoom, YouTube, Facebook, etc. nessuno è voluto rimanere indietro e ci si è attrezzati al meglio.
La necessità imponeva una soluzione digitale immediata e virale. Siamo stati letteralmente bombardati da messaggi WhatsApp, richieste di iscrizione a vari siti, di partecipazioni a riunioni catodiche… Insomma, sappiamo tutti bene del delirio digitale scatenatosi negli ultimi due/tre mesi. Se, da una parte, si è voluto agevolare l’uso di mezzi tecnologici, senza i quali ci saremmo davvero trovati isolati dal resto dei credenti e dei pastori, dall’altro – come ahimè spesso accade – non si è riusciti a domare il mostro e i “culti digitali” che dovevano limitarsi al momento di emergenza Covid-19, sembra stiano proseguendo con buona pace dei pastori e dei credenti, innescando un effetto di ritorno spiritualmente preoccupante. Perché andare in chiesa? Perché muoversi da casa? Perché rischiare la propria incolumità?… Perché andare in chiesa salva la vita!
Facendo un passo indietro, il problema vero è un altro. C’è un distanziamento che ci protegge dal contagio del virus, ma allo stesso tempo c’è n’è un altro che ci espone a un virus ancora più grave che attacca lo spirito e non il corpo. La disubbidienza alla Parola di Dio, il distanziamento da essa e dai modelli in essa contenuti, scatena un’indolenza fatale che degenera anche in un allontanamento dalla chiesa e dal Signore stesso: una nuova forma di persecuzione che sta attaccando in modo subdolo la chiesa di oggi, iper-digitale ma forse ipo-spirituale.
L’isolamento sociale ha generato effetti spaventosi: i già citati suicidi, overdose di stupefacenti, malattie legate all’alcolismo e violenza domestica, ma l’isolamento spirituale dal “corpo-chiesa”, il distanziamento fraterno e lo scardinamento dei più elementari insegnamenti biblici riguardanti “i fratelli che dimorano assieme” e il “non abbandonare la comune adunanza”, scatenano un virus che non attacca tanto il corpo quanto l’anima, minando la salute eterna del singolo credente. Siamo stanchi di sentire discorsi del tipo: “Ma tanto il Signore è a casa con me, io lo prego anche a casa mia …”, “Il Signore mi benedice lo stesso e poi posso seguire ormai tanti culti, quando voglio io, fatti da chi voglio io”… Ma dov’è il concetto di corpo? Dov’è il senso della comunità locale? Siamo vittime di un virus che spersonalizza il credente, che lacera l’identità dell’essere parte di una comunità locale, che esiste e si manifesta nella koinonia, nella compartecipazione, dove, per questo, bisogna essere presenti “non in spirito” ma fisicamente e dare il proprio fattivo contributo perché, non dimentichiamolo mai: “Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore” (Efesini 4:16).
Sì, abbiamo adottato e continueremo ad adottare tutte le precauzioni del caso. Ma, attenzione, la chiesa digitale non è chiesa a tutti gli effetti, il corpo per essere tale dev’essere tangibile; ritrovarsi insieme sui social è soltanto un surrogato della realtà e quello che potrebbe sembrare, per la comodità di tutti, un incontro fraterno si rivela una trappola fatale. A.W. Tozer, in tempi non sospetti, disse: “Il culto non è vera adorazione quando riflette la cultura intorno a noi più del Cristo dentro di noi”. Non abbandoniamo la comune adunanza perché… andare in chiesa salva la vita.
https://www.evangelo.it/wp/andare-in-chiesa-salva-vita/
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