Anche una psicoterapia può causare danni; come difendersi

Quando ci rivolgiamo al professionista mentale, gli affidiamo la nostra storia, le nostre ferite, i nostri dubbi ed ogni altra sorta di intima esperienza. Spesso ci fidiamo anche senza un’accurata valutazione della persona professionista. Sia ben chiaro, anche un supporto psicologico può causare danni.  

Da sempre l’uomo ha chiesto aiuto e supporto, negli ultimi anni il ricorso allo psicologo è in aumento. Frutto di una sempre maggiore importanza al concetto di salute, definita, dall’organizzazione mondiale della salute  come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità” (OMS). 

Da sempre l’uomo ha fatto ricorso all’oracolo, considerato un’autorità infallibile quale fonte di saggezza, consigli e profezie. Ma anche l’oracolo il più delle volte, presagendo il male comprometteva la vita stessa del richiedente. Pertanto a giusta ragione, il salmista recita: «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo……Nell’angoscia invocai il Signore, nell’angoscia gridai al mio Dio…». Si coglie, da parte del salmista, a partire dal IV e III secolo a.C., lo spostamento dall’affidamento fallimentare dell’oracolo al Signore. (Riccardi P., Parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo, Ed Cittadella 2014) 

Oggi la ricerca scientifica sulle professioni di aiuto, con gli studi sull’Evidence-Based Medicine, sull’Evidence-Based Practice e l’evidence – based in psicoterapia hanno portato nuovi e illuminanti studi, non solo sul funzionamento della mente e del cervello ma anche sui danni alla psiche derivante da uno scadente e cattivo professionista. Un cattivo medico, psicologo, psicoterapeuta non solo non garantisce miglioramenti, ma rende più nevrotica la persona. Lo psicologo e psichiatra esistenzialista, Viktor Frankl, a me caro e da me conosciuto, usa il termine “nevrosi iatrogena” (termine iatrogeno, di derivazione greca da ‘iatros’ che significa medico e ‘gennan’ generare) per indicare il danno provocato. 

Tutto questo rimanda a problemi etici e di responsabilità professionale. È importante, pertanto, da parte del professionista, saper individuare scientificamente il proprio intervento, ammettere gli errori e correggerli. Se provassimo a chiedere ad una persona che dice di avere fatto una psicoterapia o, fatto ricorso ad uno psicologo, con quale metodologia e tecnica sei stato aiutato, di certo non lo sa spiegare. Non perché è incapace ma perché il più delle volte professionista e cliente parlano, parlano, parlano del più e del meno introno al problema ma senza focus sul reale problema. Il professionista della salute mentale il più delle volte brancola nel vuoto e si difende nel dare consigli e parlare di sé per sostenere il proprio intervento. Niente di più errato. 

L’intervento psicologico, e/o di aiuto non è un parlare ma è un “processo” con delineate fasi di: raccolta anamnestica, alleanza terapeutica, contaminazione, deconfusione, riapprendimento, cristallizzazione e in ultimo feedback, in riferimento ad un modello, non personale ma scientificamente condivisibile.  

Il processo di aiuto, da parte del professionista non lo si può improvvisare intorno ad un parlare dei problemi presentati, si tratta di studiare, studiare e studiare non solo il proprio stile di relazione ma anche le tecniche e le abilità del prestare attenzione, ascolto attivo, individuazione del problema, obiettivo di cambiamento e contratto terapeutico. Senza questo approfondito processo anche uno psicologo, psicoterapeuta, professionista di aiuto che sia, scoppia in “giochi psicopatologici di relazione” aggravandone la condizione del cliente. Preso da un inconscio senso di impotenza il professionista dà sentenze, soluzioni e consigli. Ignorando che nemmeno Gesù cristo, nei miracoli lo fa, fa appello alle risorse stesse della persona: E Gesù gli disse: ”Va’, la tua fede ti ha salvato” (Mc 10, 46); “Coraggio, figlia, la tua fede ti ha salvata” (Mt 9,22) ecc. (Riccardi P., Psicoterapia del cuore e beatitudini, ed Cittadella, 2018) 

Scendiamo dal piedistallo di credere di sapere e, non sottovalutiamo il potere narcisistico del professionista psicologo, psicoterapeuta, coach ecc., che può incidere, in negativo, nell’influenzare sentimenti, pensieri, atteggiamenti e comportamenti aggravando una ulteriore patologia. Va da sè che esistono linee guida professionali, come ad esempio, un’analisi personale fatta dal professionista in prima persona (lo richiedono i diversi ordini professionali e già anticipatamente richiesto da Freud per diventare psicoanalista). Un’accurata formazione legalmente riconosciuta e non improvvisata in corsi e corsetti della durata di ore. Conoscenza e rispetto del codice deontologico della propria formazione. Chiaramente, un cliente difficilmente può sapere del professionista ma può, però notare se: 

dà consigli, ad esempio, secondo me è meglio che fai…; 

emette giudizi critici, ad esempio è sbagliato quando; sei un fallimento…; 

parla dei suoi disagi, ad esempio è concentrato su sé stesso..; 

non riconosce i sentimenti, cercando di spiegare lo stato emotivo 

In una parola rilevare il proprio stare a proprio agio nella relazione. 

Pasquale Riccardi 

http://notiziecristiane.com

 

 


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