Dopo Washington, Berlino, Madrid…anche Parigi si schiera con Rabat e abbandona la causa del diritto all’autodeterminazione per il popolo saharawi. Poche speranze dalla solidarietà internazionale, compresa quella irrilevante dell’Italia (nonostante i trascorsi della premier Meloni e le antiche prese di posizione della Lega nel secolo scorso)
Risaliva all’anno scorso (luglio 2023) – dopo quelli “illustri” di Stati Uniti (2021), Germania e Spagna (2022) – il riconoscimento da parte di Israele della sovranità del Marocco sui territori del Sahara occidentale. Presa di posizione in linea con il processo di normalizzazione dei rapporti diplomatici tra Tel-Aviv e Rabat. Scontato il compiacimento espresso dal gabinetto reale che aveva resa pubblica la lettera del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Compiacendosi per “il riconoscimento della sovranità del regno sulle Province del Sud” e forte del sostegno di oltre quindici paesi europei al piano di autonomia (con l’apertura di una trentina di consolati a Laâyoune e a Dakhla).
E “finalmente” anche la Francia si è accodata, alla faccia della Repubblica Araba Saharawi Democratica e del popolo saharawi.
Parigi infatti ha dichiarato di ritenere il piano marocchino per il Sahara occidentale come la “sola base in grado di risolvere l’ormai cinquantennale conflitto con gli indipendentisti del Polisario”. Da parte sua il Polisario (Frente popular de liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro), da Algeri, ha accusato la Francia di “sostenere l’occupazione violenta e illegale del Sahara occidentale da parte di Rabat”.
Polemico anche il governo algerino che ha annunciato “il ritiro con effetto immediato del suo ambasciatore in Francia”.
Poche le reazioni critiche, mentre 2022 un analogo riconoscimento da parte di Madrid era stato fortemente contestato e discusso (non solo nella penisola iberica).
Nei due anni precedenti (2020 e 2021), dopo una tregua di fatto (cessate il fuoco) che risaliva al 1991, erano riprese le tensioni, gli scontri tra esercito marocchino e Polisario. Dopo che per 30 anni le legittime aspettative della popolazione erano state regolarmente disattese. In particolare il referendum sull’autodeterminazione, sempre annunciato e rinviato, mentre il Marocco continuava a inviare coloni (una vera e propria operazione di sostituzione etnica).
In questo contesto, mentre sia il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che l’Unione Africana stavano dando prova di totale inadeguatezza, Madrid (al governo il socialista Sanchez) non trovava di meglio da fare che accodarsi a Washington e Berlino. Così come ora la Francia di Macron.
Resta invece l’incognita ddi una chiara presa di posizione da parte dell’Italia.
Qui andrebbero considerati i trascorsi della premier Meloni che in gioventù aveva visitato in un paio di occasioni (così come Alemanno) i campi dei rifugiati saharawi (ne parlava nella sua biografia).
Una presenza la sua forse incongrua visto che il Polisario era nato in stretta relazione con i movimenti di liberazione del secolo scorso in stragrande maggioranza schierati a sinistra. Anche se dopo l’89 sembrava prevalere la componente strettamente nazionalista rinviando le questioni sociali a dopo l’indipendenza.
Si narra poi che esponenti del Polisario avessero partecipato ai Campi Hobbit di rautiana memoria.
Anche se la cosa andrebbe presa con benefico d’inventario sapendo come la destra radicale europea (v. l’Aginter Press, v. Jeune Europe di Jean Thiriart, v. Lotta di Popolo e Terza Posizione…) già in passato si fosse infiltrata in alcuni movimenti di liberazione africani (mentre contemporaneamente forniva “volontari” e mercenari al Sudafrica per combattere sia in Namibia che in Angola) strumentalizzandone le componenti meno politicizzate, le faide interne…
Nel frattempo, apparentemente poco preoccupato delle improbabili prese di posizione del governo italiano a favore dei saharawi (e forte del riconoscimento internazionale di “quelli che contano”) il Marocco prosegue nella sua opera di colonizzazione di circa due terzi del territorio rivendicato dal Polisario. In particolare delle coste ricche di pesca. A cui si va aggiungendo il turismo (nuovo paradiso dei surfisti europei) che – come al tempo dell’apartheid sudafricano e oggi con la Turchia – si può solo boicottare.
Gianni Sartori
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