Lunedì scorso una donna di 40 anni si è presentata al pronto soccorso del policlinico Casilino, a Roma, accusando una forte emorragia. Dopo la visita, è apparso chiaro ai medici che il problema derivava o da un aborto o da un parto prematuro. Del feto nessuna traccia e forse anche per questo i sanitari hanno ritenuto di informare dell’accaduto le forze dell’ordine che, in casa della donna e del marito, hanno trovato un feto lungo circa 30 centimetri, congelato nel freezer. Interrogata, la donna ha dichiarato di averlo perso mentre era in casa, dopo un malore, e di aver deciso con il marito di conservare corpicino nel congelatore per tenerlo sempre accanto a sé. Entrambi i coniugi sono stati denunciati per occultamento di cadavere.
Sono tante le considerazioni che possono trarsi da questa tragica e drammatica vicenda. A partire dal fatto che ciò che quei genitori hanno ritenuto di mantenere sempre accanto a sé (se davvero questa è la loro motivazione) non pare essere il famoso “grumo di cellule” di cui parlano i supporter dell’aborto sempre e comunque, ma un essere vivente. Inoltre fa riflettere che le forze dell’ordine e la magistratura non abbiano incriminato la coppia per occultamento di grumo di cellule, ma di cadavere. E solo gli esseri umani, quando morti, sono cadaveri. A ulteriore conferma, gli inquirenti hanno ordinato, e i sanitari eseguiranno, un’autopsia sul corpicino ritrovato nel freezer. E, di nuovo, non si fa un’autopsia su un grumo di cellule.
Il problema è che ci si rende conto della realtà dei fatti soltanto quando accadono vicende tragiche o impressionanti, storie da cronaca nera, come nel caso di Giulia Tramontano, uccisa mentre era incinta al settimo mese. Anche in quel caso, nessun media se n’è uscito titolando «donna uccisa assieme al suo grumo di cellule», ma tutti, tranne qualche femminista che in TV contestava il concetto di “duplice omicidio” (memorabile in questo, anzi sicuramente dimenticabile, Giulia Blasi durante un dibattito con l’ex senatore Simone Pillon) si sono trovati d’accordo che lo stato di gravidanza della donna uccisa rappresentasse un’aggravante da cui non si poteva prescindere durante il seguente processo penale. Fu in quell’occasione che in Parlamento vennero depositate proposte per considerare “duplice omicidio” l’uccisione di una donna incinta, a fronte del fatto incontrovertibile che, quando accade, sono due le persone che muoiono.
Tornando al recente fatto di cronaca, il feto messo nel congelatore dalla coppia era di circa quattro mesi. Invitiamo a cercare sul web qualche immagine dello stadio di sviluppo di un feto a quel punto. È davvero difficile, guardando le immagini, pensare che non si tratti di un essere vivente, e le forze dell’ordine che ne hanno tenuto in mano uno uguale devono aver avuto la stessa sensazione, così come medici e inquirenti, che ora trattano quel corpicino alla stregua di un ordinario essere umano, e le persone che l’hanno generato come pienamente responsabili della destinazione del suo cadavere.
Al di sotto di queste decisioni si sente sfrigolare il cortocircuito innescato da chi sostiene l’aborto senza se e senza ma, così come emerge quanto ormai appartenga alla circolazione morale più diffusa l’idea che sì, quella è vita a tutti gli effetti. La prova? Si supponga che dall’autopsia del feto emerga che, se ci fossero state adeguate e tempestive cure, quella vita si sarebbe potuta salvare. Quanti non penserebbero, ancora di più e con ancora più convinzione, che quella era una vita a tutti gli effetti e non “un grumo di cellule”?
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