ANCHE DA MOSCA L’INVITO A ERDOGAN DI DARSI UNA CALMATA?

Scrivevo qualche mese fa “se non fosse solo tragico sarebbe comunque tragicomico. Mentre si candidano al ruolo di mediatori e pacificatori nel conflitto russo-ucraino, la Turchia e il presidente Erdogan non hanno certo smesso di opprimere i dissidenti, i prigionieri politici e le minoranze”. In riferimento soprattutto ai curdi (in realtà popolo minorizzato, non “minoranza”).

Avrei potuto aggiungere che continuavano anche ad attaccare militarmente Rojava e Bashur. E in questo, implicitamente, tiravo le orecchie anche a Putin che dava il suo tacito assenso ai bombardamenti e alle incursioni turche nel nord della Siria.

In realtà la situazione, almeno per quanto riguarda il ruolo assunto da Mosca, sarebbe più complessa.

Risale a un anno fa l’incontro a Mosca tra una delegazione curda guidata da Ilham Ahmed (presidente del comitato esecutivo del Consiglio democratico siriano) e alcuni esponenti russi di alto livello in merito alla situazione siriana. Per individuare una via d’uscita accettabile per tutti i soggetti coinvolti e forse anche per convincere i russi a far accettare a Damasco lo statuto federalista del Rojava. Il 23 novembre 2021 la delegazione del CDS aveva incontrato il ministro russo degli Esteri, Sergej Viktorovič Lavrov e quasi contemporaneamente un comunicato del ministero russo degli Esteri entrava nel merito delle questioni cruciali, ossia di come mettere in pratica la risoluzione n° 2254 del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per far ripartire l’economia del Paese, riorganizzare la vita civile, garantire il ritorno di rifugiati e sfollati (profughi interni) e fornire gli indispensabili aiuti, alimentari e sanitari, ai bisognosi. Ma la Russia si era anche impegnata a supportare i siriani (curdi compresi) nel difficile compito di accordarsi nel più breve tempo possibile. Garantendo la sovranità nazionale e l’integrità territoriale della Siria e nel contempo i diritti di ogni gruppo etnico e religioso presente in Siria. La delegazione guidata da Ilham Ahmad si era incontrata anche con Mikhail Bogdanov, viceministro degli Esteri e rappresentante speciale del presidente russo per il Medioriente.

Uno dei primi effetti – probabilmente – fu la sospensione della paventata ulteriore invasione terrestre (propedeutica al programma di sostituzione etnica concepito da Erdogan) da parte di Ankara nel nord della Siria. Anche se solo temporaneamente come sappiamo.

Anche se nel frattempo proseguivano gli attacchi con i droni, i rapimenti di civili, le esecuzioni extragiudiziali e altri crimini perpetrati dalle forze turche di occupazione e dai loro ascari jihadisti.

Più recentemente la notizia di un attacco turco contro un comandante della milizia ezida (poi deceduto) che stava scortando un convoglio russo lasciava intravedere l’esistenza di rapporti non conflittuali ma di collaborazione reciproca tra l’autorità autonoma in Siria e le truppe di Mosca.

In questi giorni (30 novembre 2022) una notizia fornita dall’Agence France-Presse sembra confermare che il dialogo tra curdi siriani e Mosca non si è mai del tutto interrotto (nonostante i ricatti di Erdogan).

Per quanto da prendere con le molle, la notizia non appare priva di fondamento. L’informazione sarebbe stata fornita a AFP, oltre che da abitanti di Tal Rifaat, anche dall’ Osservatorio siriano dei diritti umani (OSDH).

La Russia (che sostiene il regime di Damasco) starebbe potenziando la propria presenza militare in alcune zone del Nord della Siria sotto il controllo in parte dei curdi, in parte dell’esercito di Bachar al-Assad.

Zone in prossimità del confine turco e sotto perenne minaccia di attacco e invasione da parte di Ankara. Soprattutto da quando il 20 novembre è stata avviata una intensa campagna di raid aerei, costata in soli dieci giorni la vita a 75 combattenti curdi, oltre a una decina di civili e numerosi soldati siriani.

I rinforzi di truppe russe si andrebbero concentrando soprattutto nel territorio di Tal Rifaat, città a soli quindici chilometri dal confine turco.

Per certo aspetti un fatto inedito, da non prendere sotto gamba se pensiamo che Recep Tayyip Erdogan ha già dichiarato che la prevista offensiva di terra dovrebbe colpire principalmente proprio Tal Rifaa, oltre a Manbij e Kobane. Allo scopo di realizzare una “zona di sicurezza” profonda almeno trenta chilometri in territorio siriano.

Un cambio di marcia quello di Mosca? Ricordo che solo qualche giorno fa (il 23 novembre) si era registrato un episodio poco esaltante per la Russia e il ruolo che Mosca aveva assunto in Siria (a difesa non solo del regime, ma anche dell’integrità territoriale del Paese).Un drone turco aveva colpito due volte di seguito una base militare condivisa dalle Forze Democratiche Siriane e da militari russi nel quartiere di Al-Hamra (distretto di Tal Tamaar).

Uccidendo un militante curdo e ferendone altri tre.Ma – evidentemente allertati in precedenza – i russi si erano allontanati poco prima dell’attacco rientrando nella base a bombardamento concluso.Non particolarmente dignitoso direi.La situazione di Tal Rifaat è già difficile sin d’ora in quanto questa enclave sotto controllo curdo si trova praticamente circondata da zone occupate da un lato dall’esercito siriano, da milizie filo-turche dall’altro.

Sempre stando a quanto segnalato da AFP (in base alle informazioni fornite da OSDH) i Russi avrebbero posto i nuovi sbarramenti lungo la linea che divide i curdi dalle milizie pro Ankara. Avrebbero inoltre irrobustito la loro presenza militare nel vicino aeroporto di Menagh in mano alle truppe di Damasco.

Ancora più eclatante la notizia che altri rinforzi russi si starebbero concentrando intorno alla ben nota città curda di Kobane (altro prossimo obiettivo di Ankara) pattugliando l’area anche con l’ausilio di elicotteri.

Il 29 novembre i curdi avevano annunciato di aver richiesto alla Russia di alzare la voce con la Turchia allo scopo di farla desistere dai progetti di invasione terrestre. E in effetti era stato rivolto un appello a Erdogan di “trattenersi, moderarsi”.Ora ci sarebbe proprio da augurarsi che questi movimenti di truppe russe siano di monito per Erdogan e contribuiscano, se non ad impedire, almeno a ritardare e “diluire” la comunque probabile invasione turca del Rojava.

Gianni Sartori


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