Ormai anche l’Unicef ne ha preso atto: il latte materno è fondamentale per la salute del bambino e anche della madre stessa. Secondo dati diffusi dall’organizzazione internazionale, se tutte le donne potessero allattare i figli fino all’età idonea per lo svezzamento, si potrebbero prevenire almeno 823 mila morti l’anno. Le esigenze lavorative, tuttavia, non rendono sempre possibile questa eventualità, tanto è vero che soltanto il 40% delle neomadri godono di agevolazioni per la maternità sul posto di lavoro.
Il cambiamento di prospettiva avanzato dall’Unicef è stato accolto con favore dalla dottoressa Silvana De Mari. Interpellata da Pro Vita & Famiglia, la scrittrice e medico torinese ha ricordato i grandi vantaggi dell’allattamento al seno, in grado, tra le altre cose, di prevenire il cancro alla mammella. Le ragioni per le quali esso è così ostacolato, ha ricordato la De Mari, sono di natura sia ideologica che commerciale.
Dottoressa De Mari, perché è importante che le madri allattino i figli al seno?
«In un certo senso, la gravidanza dura 18 mesi. Nei primi nove il bambino si trova nell’utero materno, un luogo tiepido e buio, protetto dal liquido amniotico. Nei nove mesi successivi dovrà stare a stretto contatto con la madre e nutrito dalle sue mammelle. L’allattamento al seno è fondamentale, in quanto diminuisce il rischio per la madre di ammalarsi di cancro alla mammella, mentre al bambino fornisce un nutrimento formidabile, assolutamente idoneo a lui. L’allattamento materno aumenta le capacità immunitarie nel bambino e rafforza le sue endorfine, facendogli sentire meno dolore, evitandogli coliche e gastroenterocoliti».
Perché, dunque, negli ultimi decenni, l’allattamento al seno è stato messo in discussione?
«Contro l’allattamento al seno c’è una guerra da quando la Nestlé ha messo in commercio la farina lattea, con la quale si pensò di nutrire i nati prematuri che non assorbivano il latte materno. Fu un errore fatale: quei bambini morirono tutti di gastroenterocolite: in quanto prematuri, erano più sensibili alle infezioni. Il latte materno è quindi l’unico vero alimento in grado nutrire i bambini nei primi mesi di vita. Anche per questo l’allattamento deve essere “a richiesta” e, fino a due-tre mesi, il bambino dovrebbe poter succhiare il latte in tutti i momenti che lo desidera. L’allattamento al seno è stato contrastato dalla discutibile abitudine di tenere i bambini nella nursery, facendogli vedere la madre soltanto ogni 4-6 ore. Tra un allattamento e l’altro il bambino piangeva disperato per la fame e la solitudine, poi, quando finalmente arrivava il momento del pasto, era talmente stanco che riusciva a succhiare poco. Al punto che molte infermiere, esasperate, gli davano il latte artificiale e lui si attaccava di meno al seno della madre. I risultati dell’allattamento artificiale sono stati disastrosi, specie in Africa e in altri luoghi dove non è possibile sterilizzare il biberon».
Ci sono anche argomentazioni ideologiche contro il latte materno?
«Tutto è iniziato quando, durante la prima guerra mondiale, molte donne iniziarono a svolgere i mestieri degli uomini partiti per il fronte. Questa tendenza ha iniziato ad accentuarsi con il ’68 e con il femminismo. La priorità ormai non erano più i figli ma il lavoro. Con l’ingresso delle donne in fabbrica sono stati abbattuti i salari. Risultato: le donne non hanno ottenuto migliori congedi di maternità, pagati al 100% dello stipendio effettivo, ma si sono dovute accontentare degli asili nido, dove le maestre, per quanto possano essere le migliori al mondo, sono pur sempre delle estranee. I bambini, allora, si stressano e si ammalano di più, cosicché, ogni inverno, per quattro volte, bisogna dare loro antibiotici e cortisoni. Molti pediatri hanno iniziato a suggerire di non prolungare l’allattamento oltre il terzo o quarto mese, altrimenti il bambino ne esce “viziato”… L’allattamento al seno, potenza ancestrale delle madri, è stato quindi danneggiato dal femminismo, portato avanti da donne senza figli come Shulamith Firestone o Simone de Beauvoir, che scriveva: “Bisognerà impedire alle donne di non andare a lavorare e di fare solo le madri”. E tuttavia: quanti “aborti bianchi” sono stati provocati dalle tossine che le donne assumevano in fabbrica? Quante tossine sono state trasmesse ai bambini con l’allattamento?».
Il segnale dato dall’Unicef rivela che la scienza non è ancora del tutto ideologizzata e che, periodicamente, torna al principio di realtà. Un altro esempio, in tal senso, è la scoperta del fondamento scientifico dell’istinto materno.
«Ogni tanto la scienza si ricorda che due più due fa quattro. Madre natura non gioca a biliardo ma mette sempre le cose dove servono, senza sprecarle. Ovviamente il cervello femminile è più empatico, essendovi più neuroni a specchio, che aiutano a comprendere il neonato e il bambino. Il cervello maschile è meno empatico perché, dall’età della pietra – la più lunga della storia umana – il maschio è cacciatore e guerriero per definizione. Se, al contrario, fosse particolarmente empatico, non potrebbe svolgere il suo ruolo. Pertanto, maternità e paternità sono strutturalmente diverse e non intercambiabili».
Luca Marcolivio | Notizieprovita.it
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