Fonte: Cec
Seduto in una tenda del campo profughi di Souda, sull’isola greca di Chios, una famiglia pakistana di 12 persone ricorda la vita che conducevano nel loro paese.
Muhammed, il padre, è un ingegnere aereonautico. «Avevamo una buona casa, le auto. Avevamo tutto nella nostra vita. Tutti i nostri figli frequentavano scuole di alto livello».
Avevano tutto tranne la sicurezza. Muhammed, la moglie Aisa, insieme ai 10 figli, sono fuggiti dal loro paese di origine alla ricerca di un luogo dove non dovevano costantemente temere per la loro vita.
«Abbiamo lasciato il nostro paese perché eravamo minacciati dai talebani», ha detto. «Non siamo povera gente che sta venendo in Europa per soldi. Veniamo solo per avere una vita sicura».
Già otto membri della loro estesa famiglia sparsa in tutto il Pakistan sono morti per mano dei talebani. Il fratello minore di Muhammed è fuggito in Germania, dove vive con la famiglia di suo zio. Muhammad e la sua famiglia hanno fatto il viaggio verso la Grecia in una barca che trasportava 73 persone, alcune delle quali hanno litigato per accaparrarsi un posto sull’imbarcazione.
Il campo di Souda, gestito dall’Acnur, è uno dei pochi campi profughi in Grecia in cui i rifugiati possono ancora muoversi liberamente. Ma essi devono sopportare la mancanza di informazioni, lunghe file per il cibo, le cattive condizioni dei servizi igienico-sanitari.
La Grecia attualmente ospita oltre 50.000 rifugiati.
Molte chiese stanno dando: cibo, vestiti e altre forme di sostegno, sia direttamente ai rifugiati o ai gruppi di sostegno presenti nei campi profughi. Alcuni dei campi ospitano più di 10.000 rifugiati – pari alla popolazione di una città media greca. La Grecia è anche un paese in cui il 25% della popolazione è senza lavoro.
Vivere in una sorta di limbo
Al campo di Souda, i bambini giocano sul cemento fuori dalle tende che ospitano i rifugiati che dormono in file, una accanto all’altra. I vestiti sono messi ad asciugare lungo le recinzioni che dividono le tende. Eppure i bambini ancora sorridono, nonostante si viva in una sorta di limbo.
Per intere giornate si sta seduti senza fare nulla: questo genera frustrazione tra i rifugiati che hanno competenze che, nelle vite passate, hanno assicurato una vita agiata alle loro famiglie.
Cercando di resistere al senso di frustrazione, le famiglie di rifugiati aspettano, con coraggio, ciò di cui hanno bisogno per vivere.
Muhammad, Aisa ed i loro bambini – Sonia, Fenrida, Anila, Emsuliman, Osman, Naila, Mermak, Naiab, Ibrahim, e Baktaran – attendono il giorno in cui potranno fare una vita, provvedere a se stessi e ricongiungersi con una comunità.
«Questa è una vita molto difficile per i miei figli», ha detto Aisa, tenendo il figlio più piccolo in grembo. «Veniamo in Europa per i diritti umani».
Il video con la testimonianze di Muhammad e Aisa è disponibile su https://www.youtube.com/watch?v=g4CsgVFDW0U
Da: Riforma.it
Foto: via http://www.oikoumene.org/
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