Afrin, curdi sconfitti. Violenza turca, vergogna europea

Solo tre anni fa, i combattenti curdi della Siria settentrionale erano “eroi”: combattevano contro l’Isis e lo sconfiggevano. Adesso sono stati attaccati e battuti ad Afrin dalla Turchia (membro della Nato) e dalle milizie dell’Esercito Siriano Libero (anch’esse alleate, contro Assad). E allora l’Europa volta lo sguardo e tace. Anche se nella città conquistata è piena crisi umanitaria, con centinaia di morti e almeno 150mila civili in fuga.

JIHAD DEMOGRAFICO, IL GRANDE DISEGNO DELLA TURCHIA ISLAMICA di Lorenza Formicola

Solo tre anni or sono erano gli “eroi” celebrati da tutto l’Occidente per l’ostinata resistenza opposta allo Stato Islamico nella città di Kobane. Oggi che ad attaccarli e invaderli sono gli alleati dell’Europa e dell’Occidente appartenenti all’esercito turco (membro della Nato) e i ribelli siriani definiti moderati “moderati”, ma in realtà islamisti sunniti dell’ESL (Esercito Siriano Libero), l’Europa sembra voltarsi dall’altra parte.

Persino di fronte ai 150 mila civili, per lo più curdi, fuggiti da Afrin, evidentemente meno importanti dei ribelli jihadisti di Ghouta schiacciati dalle truppe di Bashar Assad (che hanno preso il controllo dell’80% dell’enclave in mano ai ribelli dal 2012) per i quali in Europa media e politica sembrano strapparsi le vesti. Dopo due mesi di accanita battaglia, da sabato scorso la città curda è caduta nelle mani delle truppe turche e dell’ESL che hanno sconfitto le Unità di protezione popolare curde (Ypg). Si tratta della prima di una serie di operazioni annunciate da Ankara per eliminare le Ypg e il loro partito, l’Unione democratica (Pyd), dal confine turco-siriano. Il governo turco considera Pyd e Ypg gruppi terroristici a causa dei loro legami col Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) impegnato da anni in una lotta separatista contro Ankara. Certo alla Turchia di può rimproverare la mancanza di scrupoli ma non certo di coerenza nel perseguire i propri interessi: negli anni scorsi Ankara non ha esitato a sostenere lo Stato Islamico, acquistandone il petrolio estratto nei pozzi occupati in Iraq e Siria e favorendo l’attacco jihadista a Kobane, pur di cacciare o vedere sottomessi i curdi in Siria.

Afrin è tappezzata di bandiere turche e dell’opposizione anti-Assad, milizie che avrebbero saccheggiato casa per casa la città abbandonata da gran parte dei suoi abitanti e abbattuto una statua di Kawa, figura mitologica per i curdi. Una quarantina i morti tra i militari turchi (centinaia secondo i curdi) mentre ben più alte ma non rese note sarebbero le perdite dell’ESL. Nel corso dell’operazione “Ramoscello d’Ulivo” voluta dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan per cacciare i curdi dal confine turco ad ovest dell’Eufrate sarebbero morti oltre 280 civili, cifra smentita con forza dal governo turco che annuncia però di aver ucciso 3.603 i “terroristi” come ha dichiarato lo stesso Erdogan. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), organizzazione non governativa con sede a Londra e vicina ai ribelli siriani, i combattenti curdi uccisi ad Afrin sarebbero meno della metà, comunque più di 1.500 e la maggior parte sarebbe stata uccisa da raid aerei e fuoco d”artiglieria. E’ stato l’Ondus a indicare in 150mila il numero di civili in fuga da Afrin attraverso un corridoio lasciato dalle forze turche verso sud, ma altre fonti riferiscono numeri superiori ai 200mila profughi.

Un portavoce militare turco ha detto che la campagna militare è destinata a proseguire sino a che “l’area non verrà resa sicura” e del resto Ankara ha già annunciato che i prossimi obiettivi saranno la conquista di Kobane e Manbji, quest’ultima da presidiare insieme alle truppe americane una volta che i curdi alleati degli Usa si saranno ritirati dalla città, secondo un’intesa con Washington annunciata dal governo turco. Il vice premier Bekir Bozdag ha detto che le forze turche non resteranno ad Afrin, ma lasceranno la regione della Siria nordoccidentale in mano ai suoi ”proprietari” (cioè l’ESL) una volta che la zona sarà completamente liberata dai terroristi. ”Faremo tutto il necessario per riportare la vita alla normalità e per ricostruire le infrastrutture”’, ha detto il vice primo ministro di Ankara.

Difficile però che gli scontri ad Afrin possano dirsi conclusi. In un messaggio televisivo il co-presidente del consiglio esecutivo della città, Othman Sheikh Issa, ha confermato che la guerra contro Ankara “è entrata in una nuova fase”. Le forze curde, prosegue, restano nella regione e “colpiranno le posizioni del nemico turco e dei suoi mercenari alla prima opportunità”. “Diventeremo – conclude – una minaccia costante per loro”. Erdogan, che ha annunciato la vittoria ad Afrin mentre celebrava il 103esimo anniversario della vittoria nella battaglia dei Dardanelli, con la quale l’Impero Ottomano respinse l’attacco navale degli Alleati durante la Prima guerra mondiale, rischia ora di dover combattere contro tutti curdi di Siria una guerra lungo il confine. Un conflitto che impedirà al tempo stesso di stabilizzare il nord della Siria e di porre fine alla guerra civile in atto da oltre sette anni che costituisce una inesauribile fonte di guai per l’Europa.

Un’Europa che continua a farsi prendere a pesci in faccia dai turchi. Ieri il ministro per gli Affari europei e capo negoziatore di Ankara con l’Ue, Omer Celik, ha impartito una “lezioncina” a Federica Mogherini, che aveva espresso preoccupazione per la crisi, ricordandole che l’Unione europea ha assunto sin dall’inizio un approccio sbagliato sulla lotta al terrorismo della Turchia ad Afrin. “Chi non ha concrete raccomandazioni per combattere il terrorismo, critica la lotta al terrorismo”.

Gianandrea Gaiani | Lanuovabq.it


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