Adozioni gay, via libera del giudice Come previsto

img-_innerArtFb-_0b3c9632-dce5-4b20-9be5-78282976f14e_mediumLa Cassazione ieri con la sentenza n. 12962 ha acceso semaforo verde alla stepchild adoption per le coppie omosessuali.  E’ come predire il passato: impossibile sbagliarsi. Tutto è andato come previsto. In altre occasioni i giudici avevano concesso la stepchild a coppie gay, ma questa è la prima volta che la Cassazione si pronuncia a favore.

La vicenda inizia in Spagna dove una coppia di lesbiche si “sposa”. La più giovane della coppia si sottopone poi a fecondazione artificiale di tipo eterologo e nasce una bambina che oggi ha sei anni. La partner che non è madre biologica della minore successivamente esprime il desiderio di adottare la figlia della compagna. Nell’agosto del 2014 il Tribunale dei minori di Roma presieduto dalla dott.ssa Melita Cavallo concede la stepchild adoption alla richiedente. Sentenza confermata anche in Appello, ma qui il procuratore si oppone e ricorre in Cassazione.

Il sostituto pg della Cassazione Francesca Ceroni il 26 maggio scorso aveva chiesto di accogliere il ricorso del procuratore e, proprio perché la materia era scottante, di esaminare la vertenza a Sezioni Unite, così come avevano domandato di recente alcuni esponenti del Centrodestra. Ma nessuna delle due richieste è stata accolta.

La Cassazione, come è accaduto in passato con sentenze analoghe di giudici di primo e secondo grado (qui,qui e qui) ha male interpretato, rectius, ha piegato ai propri principi ideologici l’art. 44, comma 1 lettera d) della legge 184 del 1983 sulle adozioni. L’art. 44 disciplina le adozioni in casi particolari. Ad esempio quando il minore è orfano di entrambi i genitori può essere adottato da parenti più o meni stretti o da persone con cui è cresciuto (lettera a). Il minore può essere adottato anche dall’altro coniuge (lettera b). Altro caso particolare è l’adottabilità del minore con disabilità, ma sempre quando sia orfano di padre e di madre (lettera c). Ed infine arriviamo alla lettera d): “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo” l’adozione è consentita anche alle coppie non coniugate.

La coppia di lesbiche di cui sopra non è coniugata e quindi i giudici della Cassazione hanno pensato di applicare la lettera d), non potendo avvalersi delle altre lettere. Come avevamo già appuntato all’inizio di marzo di quest’anno “l’affidamento preadottivo è quel periodo di tempo in cui il bambino vive a casa della coppia che ha chiesto la sua adozione e che precede la pronuncia di adozione definitiva. In sostanza è un periodo di prova. Nel caso della coppia lesbica non solo manca la prova dell’impossibilità di affidamento preadottivo, bensì – a ben vedere – tale affidamento di fatto c’è stato, dato che entrambe le bambine hanno convissuto per parecchio tempo con le rispettive mamme adottanti. Quindi in punta di diritto tale adozione è illegittima”.

Lo snodo problematico è dunque il seguente: la lettera d) applicata dai giudici presuppone che il minore versi in stato di abbandono (così la stessa Cassazione nel 2013) e si tenti invano l’affidamento preadottivo. Tentata questa via senza successo si può dare in adozione il minore anche ad una coppia di conviventi. Nel caso di specie la minore non solo non versava in stato di abbandono (era accudita dalla madre e dalla compagna) ma non si era nemmeno tentato – proprio perché non c’era lo stato di abbandono – la via dell’affidamento preadottivo. Insomma non si può applicare in nessun modo questo caso particolare di adozione previsto dalla legge alla richiesta di adozione proveniente dalla coppia lesbica.

In merito all’impossibilità dell’affido preadottivo, il Tribunale dei minori di Roma in primo grado aveva spiegato che un genitore la piccola già l’aveva, un genitore che poi si prendeva cura di lei, e quindi perchè darla in affidamento preadottivo (impossibilità di diritto)? Ma il legislatore non si riferiva di certo a questa situazione quando scrisse la lettera d), bensì alla situazione opposta in cui nessun genitore si prende cura del minore, aprendo quindi la possibilità all’affidamento preadottivo: verificata l’impossibilità dell’affidamento (impossibilità di fatto) allora si può applicare la lettera d) e dare in adozione il minore anche a coppie conviventi.

La Suprema Corte risponde che lo stato di abbandono della bimba non è rilevante, sebbene la legge lo preveda. L’aspetto più importante da tenere in conto secondo i giudici è invece l’interesse della minore che sarebbe soddisfatto nel darla in adozione a chi si è preso cura di lei ormai da tempo. L’adozione quindi, dicono i giudici, “prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore”.

Stesso principio era stato espresso dalla Consulta ben 17 anni fa (sentenza 383 del 1999). Dunque la lettera d) d’ora in poi deve essere così interpretata: «questa particolare ipotesi normativa» mira «a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all’interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzato dall’adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali».

E che dire del fatto che l’inserimento di un minore all’interno di una coppia omosessuale lede tale famigerato “interesse del minore”? “L’esame dei requisiti e delle condizioni – spiegano i giudici – non può essere svolto – neanche indirettamente – dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questa stabilita con il proprio partner».

Insomma nella legge sulle adozioni non c’è il divieto esplicito di adozione a coppie gay e quindi – seguendo molto alla cieca il brocardo che ciò che non è vietato è permesso (mica sempre vero) – la Cassazione ha ritenuto legittima l’adozione a favore di una coppia omosessuale. Poco importa che la giurisprudenza della Corte costituzionale a più riprese avesse indicato per l’adozione di minori il criterio dellaimitatio naturae, cioè di dare al bambino una famiglia composta da padre e madre tra loro coniugati.

C’era un altro punto spinoso da superare. L’adozione della lettera d) non recide completamente i legami con il genitore biologico. Ora questa bambina è figlia biologica della donna, compagna dell’adottante, ma è anche figlia del donatore del seme maschile. Tale adozione – faceva notare il procuratore – potrebbe creare dei problemi con il padre biologico, anche perché – per quel che se ne sa – non è stato interpellato in merito a questa decisione. I giudici risolvono la questione semplicemente affermando che non c’è problema alcuno: questa adozione “non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice”. Insomma che si decida caso per caso.

In sintesi: la Cassazione non ha solo sancito la legittimità della stepchild adoption, fornendo un paradigma nazionale e autorevole per future vertenze dei tribunali minori, ma a monte e ancor prima ha legittimato il “matrimonio” gay, in simpatico concorso con la recente legge sulle Unioni Civili. I figli in tutta questa vicenda non c’entrano nulla, ma sono solo strumentali al superiore interesse dell’ideologia.

di Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it


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