I cristiani sono stufi di stare a guardare. Soprattutto sono stufi di fare da bersaglio. Per questo, ora, contro l’Isis, nel nord-est dell’Iraq, si sono costituiti in NPU-Unità di Protezione della piana di Ninive, come recitano i gagliardetti, i volantini, le uniformi. Rappresentano la formazione più recente, subito affiancatasi alla milizia Dwekh Nawsha, sigla che, in aramaico, significa «votati all’immolazione», più “datata”, perché costituitasi formalmente già lo scorso 11 agosto. Una data non a caso: quattro giorni prima questa gente patì sulla propria pelle e sulla pelle dei propri familiari la cruenta avanzata dell’Isis.
All’epoca Dwekh Nawsha riuniva solo un centinaio di elementi, per lo più assiri. Tute mimetiche ed armi leggere, questa la loro dotazione. La roccaforte era Baqofa. Poi si sono aggiunti caldei, siriaci e ortodossi. Sono giovani, la maggior parte ha tra i 20 ed i 30 anni.
Oggi sono circa 3 mila quelli in attesa di addestramento, oltre 500 si stanno formando per 5, 6 ore al giorno, esercitazioni comprese. Altri 500 , già operativi, sono stati piazzati nei villaggi assiri, hanno costituito unità di guardia, si trovano in prima linea. Ma molti altri volontari stanno giungendo dall’estero, anche occidentali: svedesi, canadesi, statunitensi, australiani,… Anche donne. Sempre di più. Credono nella stessa causa. E sono decisi a dare una mano per riconquistare questa terra ora occupata, per liberare la loro Patria. A fianco dei peshmerga, dei curdi siriani dello Ypg, , di 150 veterani cristiani della guerra in Siria ,del gruppo di cristiani europei Sotoro guidato da un ex-caporale dell’esercito svizzero, Johan Kosar. Oppure negli eserciti regolari iracheno e siriano.
Nell’operazione NPU crede fortemente il Movimento Democratico Assiro, costituitosi nel 1979: centinaia di suoi attivisti sono stati incarcerati ed i loro leader uccisi ancora ai tempi di Saddam Hussein. NPU ha ottenuto dalle autorità curde ciò che non ha avuto dal governo centrale di Baghdad ovvero una sede dove rifinire la preparazione, l’ex-base militare statunitense Manila, nei pressi di Kirkuk. Molti volontari provengono dai campi-profughi allestiti in Kurdistan, dove sono stati accolti circa 100 mila sfollati, costretti a lasciare le proprie case di fronte all’avanzata jihadista. Sono cristiani e yazidi.
Vasta è l’impreparazione bellica e strategica dei miliziani: mai, del resto, avrebbero immaginato di dover imbracciare un’arma. Sono padri e madri di famiglia, ex-insegnanti, professionisti, operai, gente comune… Hanno imparato da poco ad imbracciare un kalashnikov. Ma, tra loro, c’è tanto entusiasmo. Dwekh Nawsha è una milizia indipendente. Nei mesi scorsi una delegazione si è recata in Libano, dove ha ottenuto l’aiuto ed il pieno appoggio delle FL-Forze Libanesi, principale unità cristiana cimentatasi nella guerra civile fra il 1975 ed il 1990. Ed ora si chiede l’aiuto anche della comunità internazionale, per ricevere sostegno e fondi. In particolare, contano su Europa e Stati Uniti. Perché mancano di tutto, soprattutto di armi pesanti.
La Chiesa non è compatta. Pare che l’iniziativa non abbia incontrato il favore del Patriarca Louis Raphael I Sako della Chiesa caldea cattolica. Assolutamente favorevole invece mons. Youhanna Boutros Moshe, Arcivescovo della Chiesa siro-cattolica per Mosul: si è recato di persona a metà febbraio in un campo d’addestramento, per congratularsi ed incoraggiare i volontari cristiani, invocando su di loro la benedizione di Dio. Altri settori della Chiesa, specie quelli legati al Vaticano, guardano preoccupati. Ad esser entusiasti, invece, sono gli esuli assiri, rifugiatisi soprattutto negli Stati Uniti, in Australia ed in Svezia. Da qui proviene la stragrande maggioranza dei fondi, con cui le nuove milizie si armano, secondo quanto pubblicato dalla rivista britannica Catholic Herald.
I volontari sono convinti che questa sia l’ultima chance per riportare la Cristianità in Iraq, sua culla sin dai tempi delle comunità mesopotamiche. O la va o la spacca.
Tratto da: http://www.nocristianofobia.org/
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