Gli evangelici italiani salutano la sentenza della Consulta che «smonta» di fatto l’ultimo frammento vigente della legge 40 sulla procreazione assistita. Ora si dovrebbe abrogare questa legge svuotata. Il divieto di fecondazione eterologa è anticostituzionale. Lo ha stabilito la Consulta con una sentenza tanto attesa quanto scontata. La via era già tracciata: nel 2010 infatti la Corte europea sancì che il divieto di fecondazione eterologa viola l’articolo 8 della Convenzione europea dei Diritti umani, laddove si postula che «Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare…» in congiunzione con l’articolo 14 che vieta ogni discriminazione. Il ricorso fu presentato alla Corte di Strasburgo da due coppie austriache in cui uno dei coniugi era incapace di produrre gameti, impedite alla procreazione per donazione di spermatozoi od ovociti dalla legge austriaca, che, analogamente alla legge 40, vietava questa pratica. La Corte europea, in quella sentenza, specificò che gli Stati sono liberi di decidere se legiferare o meno in merito alla procreazione medicalmente assistita, ma non possono vietare la fecondazione eterologa.
Per questo la via all’abrogazione del divieto di inseminazione eterologa era segnato e l’esito scontato. Alcune coppie infatti si sono rivolte ai tribunali di Milano, Firenze e Catania, chiedendo che venisse riconosciuto il loro diritto a procreare mediante l’unica via possibile, la donazione di gameti, e questi tribunali hanno sollevato la clausola di incostituzionalità.
Questa sentenza «smonta» di fatto l’ultimo frammento vigente della legge 40. Una legge ormai svuotata di ogni significato dalla Corte Costituzionale e da tante altre sentenze che la riguardano. Ricordiamo che già nel 2009 la Consulta intervenne abrogando il limite di produzione di tre soli embrioni e l’obbligo di impiantarli tutti: questa norma è stata prodotta con l’intento di evitare la crioconservazione degli embrioni, senza tenere conto dei danni alla salute della donna. Successivamente diverse sentenze sono intervenute per permettere la diagnosi pre-impianto, vietata dalla normativa in contraddizione con la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Questa diagnosi precoce permette di evitare di trasferire in utero embrioni in cui l’analisi genetica rileva malattie gravi (quali la talassemia, la fibrosi cistica etc.): questa diagnosi sarebbe stata comunque possibile mediante amniocentesi, ma avrebbe portato alla conseguenza di un eventuale aborto terapeutico.
E ora la fecondazione eterologa, che ha sofferto in Italia in modo spietato di una campagna di disinformazione, anzi di contro-informazione, che ha voluto trasformare aspiranti genitori impossibilitati a produrre gameti in donne e uomini egoisti, che pretendevano di avere figli maschi con gli occhi azzurri anche in tarda età. L’efficacia di tale campagna è stata tale che in occasione del referendum abrogativo, nel 2005, anche fra coloro che si recarono alle urne, il quesito sull’eterologa ricevette un milione di voti in meno. Sarebbe comunque utile fare una riflessione sul referendum per abrogare la legge 40: siamo di fronte a una legge che nel suo preambolo sostiene il «fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana» e che è stata dichiarata dalle Corte Costituzionale italiana e dalla Corte di Strasburgo irragionevole, discriminatoria e lesiva del diritto alla salute. Una legge che ha ipocritamente stimolato un umiliante turismo procreativo, un vero e proprio lusso del generare.
Il fallimento del referendum va ovviamente letto alla luce della complessità dell’argomento, che interessa una minoranza di persone e si è scontrata con una ideologia sostenuta da slogan potenti dove l’autodeterminazione della donna era relegata a un ideale retrogrado e anacronistico di femminismo. Da qui bisogna ripartire, continuando a tenere vivo un dibattito culturale che ridoni dignità alle coppie che accedono a queste tecnologie, al loro diritto di procreare, che permetta di uscire dai luoghi comuni dell’adozione come soluzione alla sterilità o del mito dell’eugenetica, che si appropri dei diritti delle donne e degli uomini prima ancora che degli embrioni.
Da questo percorso dovrebbe auspicabilmente nascere l’abrogazione di questa legge, che ormai non ha più ragione politica di esistere. A questo punto è anche lecito chiedersi se sia davvero utile normare la procreazione medicalmente assistita. Io credo di sì, ma con una legge che aiuti coloro che si approcciano a queste tecniche ed eviti che vi siano degli abusi che approfittino del desiderio di maternità/paternità per meri scopi di lucro. Questa legge dovrebbe proteggere le coppie e non colpevolizzarle o umiliarle. Se il nostro Parlamento, come temo, non sarà in grado di produrre una simile legge, allora è certamente meglio il vuoto normativo: basta costosi viaggi all’estero! La tecnologia oggi permette a un certo numero di coppie infertili di avere dei figli e ai portatori di malattie genetiche di avere dei figli sani: è un diritto alla salute mentale e fisica che uno Stato non può negare.
Monica Fabbri
(15 aprile 2014)
Fonte: http://www.riforma.it/
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