Lo show australiano “Dateline” racconta la vicenda di una anziana belga cui è stata accordata la “dolce morte”. Solo perché «cinque minuti dopo la morte di mia figlia ho desiderato l’eutanasia».
Sua figlia era morta da cinque minuti e lei, Simona De Moor, 85 anni, ha intuito subito ciò di cui aveva bisogno: «Eutanasia». La storia della donna belga è stata raccontata in una puntata dello show australiano Dateline, che ha dedicato un documentario alla “buona morte” in Belgio.
«NESSUNA RAGIONE PER VIVERE». Da quando aveva perso il marito, Simona viveva con la figlia Vivienne. Ma quando lei è morta in seguito a un’operazione chirurgica di routine, appena prima di compiere 58 anni, è rimasta sola con il suo dolore. «Non ho più una ragione per vivere», spiega al giornalista Brett Mason, «il lutto è un dolore insopportabile. Mi fa diventare matta e io non voglio finire in una clinica per pazzi. Io voglio morire. L’ho saputo cinque minuti dopo la morte di mia figlia».
DOLORE INSOPPORTABILE. Simona non aveva mai pensato prima all’eutanasia, anche perché nonostante gli acciacchi dell’età era in salute. Tre mesi dopo quel giorno tragico, il 22 giugno, il dottor Marc Van Hoey, fervente sostenitore della “buona morte” in Belgio, ha messo in mano a Simona il cocktail letale che ha posto fine alla vita della donna. La legge belga, infatti, che nel tempo è stata stravolta, da anni consente anche alle persone sane di morire, basta che un medico confermi che stiano soffrendo in modo «insopportabile». In questo caso, il dolore non era né fisico né psicologico, ma morale. Questo, però, non ha più nessuna importanza in Belgio, come dimostrato da molti casi recenti.
IL CASO DI LAURA. Tra questi, uno dei più eclatanti, che ha scioccato perfino i sostenitori dell’iniezione letale, è quello che riguarda una ragazza di nome (fittizio) Laura. La ragazza di 24 anni sta bene fisicamente, ha molti amici, eppure ha ottenuto l’eutanasia perché depressa e perché «ritengo che vivere non faccia per me». Il caso di Simona, a parte la differenza di età, è molto simile.
«NON SO QUANTI NE HO UCCISI». Mason, il giornalista che ha realizzato il reportage, è rimasto molto scosso dalle testimonianze raccolte. Il dottor Van Hoey, ad esempio, parlando dell’eutanasia, ha raccontato: «Se devo essere onesto, non ricordo a quante persone ho fatto l’eutanasia: forse cento, forse più di cento. Un sacco di anziani non soffrono davvero nel senso stretto della parola, ma uno più uno più uno più uno fa tantissimo. Se si aggiunge alla loro età il fatto che non hanno futuro, che non resta più niente, [è normale] che spesso dicano: ne ho abbastanza della mia vita».
«IL GIORNO PIÙ DIFFICILE». Parlando del suo reportage e della morte della signora Simona De Moor, Mason ha commentato: «È stato il giorno più difficile della mia vita di giornalista, senza dubbio. Io sono un corrispondente estero e ho visto molta gente morire. Ho assistito ai momenti finali di tante persone. Ma tutte queste persone, me lo ricordo molto chiaramente, non volevano morire. Avevano qualcosa per cui vivere, qualcosa che temevano di perdere. Ciò che mi ha messo più in difficoltà è stato vedere che Simona, nonostante fosse in quasi perfetta salute fisica, credesse di non avere niente e nessuno per cui vivere».
PERMETTIMI DI MORIRE. Nel suo documentario, intitolato “Permettimi di morire“, il giornalista si chiede se il Belgio non sia «andato troppo oltre», estendendo il diritto di morire in modo quasi illimitato. Anche perché sono sempre più quelli che chiedono l’iniezione letale pur non essendo affetti da alcuna patologia.
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