A Bolzano una liturgia della Parola Lgbt e “queer” promossa dalla Diocesi. E il vescovo?

«Queer? OK For God». È questo il tema di una liturgia della Parola tenutasi nella chiesa di San Domenico a Bolzano alla vigilia della giornata del coming out lo scorso 11 ottobre. L’iniziativa di preghiera, guidata da don Paolo Zambaldi, è stata promossa dal gruppo di lavoro diocesano di Bolzano-Bressanone “Fede e omosessualità”, di cui fa parte anche il sacerdote Bernd Mönkebüscher, autore del libro “Nella Chiesa c’è posto per tutti”.

Don Paolo Zambaldi non è nuovo a questa tipologia di iniziative, dal momento che ha organizzato altre veglie di preghiera contro l’omotransfobia, dichiarando al Corriere del Trentino che «dobbiamo muoverci su tre strade: accogliere le persone omosessuali, transgender o bisessuali, organizzare iniziative per ascoltare e incontrare queste persone, sensibilizzare le comunità parrocchiali».

Dialogo, accoglienza, inclusione: il mantra per far passare l’ideologia gender è sempre lo stesso. Ma ciò che scandalizza è che tale iniziativa, ideologica sin nel titolo, accada e venga promossa in ambito ecclesiale. Poiché inoltre sembra che questo momento di preghiera, con tanto di testimonianze, si sia svolto col beneplacito dell’Ufficio Matrimonio e famiglia della stessa Diocesi, si auspica che il vescovo, monsignor Ivo Muser, ne prenda presto le distanze con una dichiarazione o un comunicato ufficiale perché tutti i fedeli, compresi i ministri ordinati e le persone consacrate di Bolzano-Bressanone non ne siano ulteriormente scandalizzati, o peggio abbiano ad assecondare e partecipare a iniziative simili, chiaramente in contrasto con la dottrina e il Magistero della Chiesa.

Basti ricordare in proposito l’insistenza di Papa Francesco contro la teoria del gender, sin dal 2015, quando egli l’accusava espressamente di «voler cancellare le differenze perché non sa più confrontarsi con esse». Accettare etichette ideologiche come il concetto di genere e quelli di “queer” e di “omotransfobia” significa ricadere infatti in pieno in quella che il Pontefice ha definito a più riprese una «colonizzazione ideologica».

Che nella Chiesa ci sia posto per tutti i non c’è dubbio, ma certamente non per il peccato, che è costato il sangue di Cristo. Al peccatore ostinato, ossia a colui che viva nell’errore, scusando e banalizzando la propria colpa o peggio perseverando in atti oggettivamente disordinati, la Chiesa non può che additare un’unica via, la stessa di sempre, quella di Cristo, perché ritorni a pensare, agire, vivere e amare secondo il disegno di amore del Padre, al di fuori del quale ritroverebbe soltanto infelicità e solitudine. Dunque la Chiesa può e deve pregare e agire per la sua conversione, come per quella di ogni altro peccatore incallito, attuando un’autentica cura pastorale delle persone, la quale non può prescindere dalla dottrina in nome di una pseudo accoglienza di fatto priva di verità e dunque di ogni amore.

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