Come intenderà l’Unione Europea combattere la denatalità, se continua a porre il diritto all’aborto tra i suoi obiettivi prioritari? Questo, in sintesi, il contenuto dell’interrogazione rivolta in forma scritta alla Commissione Europea, dall’eurodeputato Vincenzo Sofo (Lega). L’interrogazione, depositata lo scorso 4 dicembre, ancora non ha prodotto una risposta ma il giovane europarlamentare è ben lontano dal rassegnarsi. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, l’onorevole Sofo ha sostenuto che il declino demografico non è solamente un problema di incentivi economici ma, in primo luogo, una questione antropologica.
Onorevole Sofo, lei ha posto la Commissione Europea di fronte a una sua evidente contraddizione…
«Proprio così: c’è un’evidente contraddizione tra la necessità di una ripresa – anche demografica – dell’Europa e una serie di politiche che vanno in tutt’altra direzione. Anche per questo, sono curioso di scoprire quale sarà la risposta alla mia interrogazione, dal momento in cui il Covid non potrà che acuire la denatalità in Europa. Attualmente pare proprio che, per la Commissione Europea, la sponsorizzazione della pratica abortiva sia una priorità e non si capisce perché. Al Parlamento Europeo, ci ritroviamo ripetutamente a votare su risoluzioni e provvedimenti di vario tipo che incentivano l’aborto: che tutto questo vada in senso contrario a una ripresa demografica, direi che è assolutamente lapalissiano».
Se lei ricoprisse un ruolo nella Commissione Europea, che provvedimenti adotterebbe?
«A livello europeo, non si può agire con strumenti di livello nazionale come, ad esempio, il bonus bebè. È evidente, però, che servono incentivi ai governi nazionali, un sostegno più deciso alla conciliazione famiglia-lavoro, un sostegno economico alle giovani coppie, ad esempio, nell’acquisto della casa o nei contratti di lavoro. A monte, c’è però soprattutto una questione di carattere culturale: quando si parla di inverno demografico, il problema viene affrontato esclusivamente dal punto di vista economico, quando sappiamo bene che è in corso un attacco alla famiglia che ha essenzialmente una matrice culturale. Penso alla propaganda lgbt ma anche alla mentalità child free. Ritengo sia un concetto più cruciale della questione economica, tanto è vero che il crollo demografico lo vediamo ancor più evidente nel ceto medio. Tutti i giorni, la stampa mainstream veicola articoli di questo genere: “Quant’è bello essere single a 40 anni”; “Quant’è bello aver scelto la carriera al posto della famiglia”; o, addirittura: “Mi sono pentita di aver avuto figli, quando potevo starmene da sola a godermi la vita o a viaggiare”. È evidente che questa visione del mondo mina alle basi ogni incentivo alla costruzione di una famiglia da parte dei giovani».
E intanto, le istituzioni dell’Unione Europea, continuano a sostenere l’aborto in tutte le forme…
«Mi piacerebbe che la Commissione Europea e il Parlamento Europeo spiegassero per quale motivo ci sia questa ossessione all’incentivo della pratica abortiva, al sostegno alle ong che propagandano questa pratica, quale sia la logica legata a questa “priorità”. Sarebbe importante sapere quale sia la logica sottostante ma, soprattutto, quali siano gli interessi sottostanti».
Nella sua interrogazione, lei riporta come il Covid abbia contribuito a ritardare o, peggio ancora, ad annullare l’idea di avere un figlio molte giovani coppie. I dati italiani sono più preoccupanti che nel resto d’Europa: oltre il 70% degli italiani tra i 18 e i 34 anni hanno sospeso i propri progetti di procreazione e il 36% vi hanno rinunciato del tutto. Nel resto d’Europa queste percentuali sono meno severe: 14% in Germania, 17% in Francia, 29% in Spagna. Per quale motivo, l’Italia è destinata ad essere “fanalino di coda” anche dal punto di vista demografico?
«Innanzitutto, perché non riceviamo i sostegni finanziari che invece arrivano in altri paesi, Francia e Germania in particolare. Detto ciò, mi piacerebbe sapere in che modo i soldi del recovery fund saranno utilizzati per il sostegno alla famiglia e alle giovani coppie. E vorrei anche sapere per quale motivo, per il futuro dell’Europa, la questione “pseudo-ambientale” sia percepita come molto più cruciale. Sappiamo infatti che l’Unione Europea è proiettata a investire miliardi di euro per una riconversione del sistema produttivo che è abbastanza utopica e che ci costerà anche milioni di posti di lavoro…».
Come lei accennava prima, però, alla base del decremento demografico, ci sono anche ragioni culturali. In che modo incidono?
«Io stesso, che ho 34 anni e faccio parte della classe media, che di certo non soffre la fame; faccio parte di quella generazione che tende sempre a rimandare il momento della costruzione di una famiglia. Ciò dipende senz’altro da motivazioni di carattere economico e legate all’instabilità dei contratti di lavoro ma c’è anche la tendenza culturale a rimandare continuamente il momento della responsabilità. La prima cosa che ti dicono di fare, invece, è: viaggiare, goderti l’attimo, divertirti, farti gli aperitivi, dedicarti al consumo di beni, di emozioni, di esperienze. Questa è la visione del mondo che ci viene propagandata dal sistema mediatico e anche politico. In queste settimane, ci preoccupiamo di chiudere le chiese, mentre lasciamo aperti i centri commerciali e vediamo la gente che quasi fa a botte per gli acquisti: eppure, in questo caso, nessuno dice nulla, come se il Covid non circolasse. Invece, se la gente vuole andare a messa, sembra quasi che si stia condannando a morte la popolazione. È chiaro che, dietro questo modo di pensare, c’è un indirizzo ben specifico…».
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