Sheeza Maqsood, 16 anni, è stata convertita con la forza delle armi all’islam; sotto minaccia di morte per i suoi familiari ha dovuto sposare uno dei rapitori, che l’ha stuprata per un mese e mezzo. Ong chiedono al governo e alla polizia maggiore prontezza e aiuto a difesa delle minoranze.
Faisalabad (AsiaNews) – Sheeza Maqsood, 16 anni, una ragazza cristiana di Bismillahpur (Faisalabad), è riuscita a fuggire e tornare a casa: era stata rapita alla fine di settembre e costretta a conversione forzata all’islam e al matrimonio forzato con un musulmano, che ha continuato ad approfittare di lei fino al giorno della sua fuga. La ragazza vive con la sua famiglia, che ha ricevuto minacce di morte da parte della famiglia dei rapitori.
Sheeza è stata rapita la sera del 28 settembre scorso. Suo padre Maqsood Masih era al lavoro, come pure i suoi due fratelli. A casa erano soltanto la madre, Gulzar Bibi, e la sorellina Kinza di 12 anni, che si preparavano ad andare a dormire.
La madre di Sheeza racconta: “Erano circa le 10 di sera, quando un certo Tallah Haider, insieme ai suoi amici è entrato in casa con una pistola in mano. Ci ha minacciati di ucciderci se avessimo gridato e hanno trascinato a forza Sheeza con loro. Noi abbiamo cominciato a piangere e per farci smettere ci hanno picchiato. Mentre portavano via la nostra Sheeza abbiamo cominciato a urlare. Khalida Irfan e Nazir Masih, nostri parenti che abitano vicino a noi, hanno sentito le grida e sono arrivati, ma intanto i rapitori sono fuggiti con Sheeza sulle loro motociclette”.
La ragazza racconta che a rapirla sono stati tre uomini: Tallah, Salman e Nomi. Dopo averla caricata sulla motocicletta, hanno viaggiato per circa un’ora e mezza e l’hanno condotta in una casa vuota e forse abbandonata, dove tutti e tre l’hanno stuprata. “Io piangevo e gridavo aiuto, ma non c’era nessuno a salvarmi”, racconta Sheeza fra le lacrime.
“Dopo tre giorni – racconta – mi hanno condotto ad una moschea e sotto la minaccia delle loro pistole, mi hanno costretto a convertirmi all’islam. Subito dopo mi hanno portato al tribunale [islamico], dove un Molana [dottore coranico] e un avvocato ci aspettavano. Mi hanno chiesto di mettere la mia impronta digitale su dei documenti, in cui si affermava che io sposavo Tallah volontariamente. Se non accettavo, essi avrebbero ucciso mio padre e i miei fratelli. Al tribunale erano presenti anche Rubina Bibi, Halima Bibi e la madre di Tallah. Al mio rifiuto, hanno cominciato tutti a picchiarmi e a costringermi a mettere la mia impronta sui documenti. La paura delle loro botte e il timore per la sorte di mio padre e dei miei fratelli, mi ha costretto ad accettare”.
Sheeza racconta che dopo la cerimonia forzata, l’hanno condotta nel villaggio di Roshanwala, dove viveva come una reclusa, subendo stupri di continuo, per un mese e mezzo. Spesso ha cercato di fuggire, ma è stata sempre ripresa.
All’inizio di novembre, un giorno, Tallah ha dimenticato il suo cellulare in camera. Sheeza allora ha subito chiamato suo fratello Rehmat Naseer, e gli ha spiegato dove si trovava. Lui è arrivato subito e l’ha chiamata. Non appena Sheeza ha sentito la sua voce, ha scavalcato il muro ed è riuscita a fuggire con in fratello.
Tornata a casa, lei e la sua famiglia chiedono giustizia. I social media stanno riportando il loro caso e chiedono anche loro che la polizia applichi la legge.
Nel video che mostriamo Sheeza chiede all’ufficio di polizia di Faisalabad che la sua famiglia venga protetta, dato che sta ricevendo continue minacce di morte dai rapitori.
Baba Intizar Gill, presidente della “Minority security, Pakistan”, chiede al ministro della giustizia e al capo dell’esercito che le minoranze e le loro figlie siano davvero protette. E domanda ai cristiani del Pakistan di pregare e sostenere la famiglia di Sheeza, che riceve minacce e ha bisogno di aiuto.
Baba Intizar Gill spera che Sohail Ahmad Chaudhry, il capo della polizia di Faisalabad faccia presto giustizia per loro.