La World Watch Research, nostro dipartimento di ricerca sulla persecuzione, afferma che, degli oltre 100.000 cristiani raggiunti con beni di prima necessità dai nostri partner locali, circa l’80% abbia visto negarsi l’aiuto alimentare a motivo della fede in Cristo, con un ulteriore 15% che ha subito altre forme di discriminazione come, ad esempio, l’impossibilità di ottenere un posto di lavoro da parte del governo.
Heena, un partner locale della nostra missione, condivide quanto segue:
“Capita che i cristiani vengano discriminati nei negozi e costretti a spostarsi in altri villaggi per procurarsi il cibo. Inoltre, se ricevono aiuti alimentari da parte del governo, questi sono di quantità inferiore rispetto agli altri. Capita anche che gli aiuti vengano messi a disposizione in forma condivisa tra 2 o 3 villaggi e che gli abitanti discrimino i cristiani costringendoli a recarsi altrove.
Anche nell’assegnazione del lavoro giornaliero coordinato dal governo, che prevede 90 giorni di impiego retribuito, i cristiani vengono esclusi.
Se in precedenza i cristiani delle zone rurali, a cui veniva vietato l’accesso al lavoro, si recavano in città, ora, a motivo dei lock down, non sono più in grado di spostarsi e devono sopravvivere con quel poco che ricavano dalla coltivazione del proprio terreno.
Ai cristiani viene anche intimato di rinunciare alla fede per poter ottenere gli aiuti. Questo tipo di avvertimenti e minacce sono ormai all’ordine del giorno”.
I dati sulla persecuzione raccolti da Porte Aperte/Open Doors non riportano solo atti di violenza come percosse e perdita dei propri beni, ma anche discriminazione e minacce.
“È probabile che tali avvenimenti discriminatori non ci vengano segnalati da parte della popolazione cristiana indiana per mancanza di comprensione del loro significato”, ci ha detto Samuel, un pastore locale. “Per molti ricevere questo tipo di trattamento è una parte normale della vita e non lo riconoscono come discriminazione”.
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