Se consideri Jonathan Edwards dal punto di vista sbagliato, tutto risulterà sbagliato. Alcuni lo considerano un grande pensatore, scrittore e predicatore del Settecento, ma non vanno oltre.
Il pensiero, gli scritti e le predicazioni di Edwards sono la diretta conseguenza di ciò che era. Saremo maggiormente facilitati nel vedere qualcosa di ciò che John De Witt intendeva quando scrisse: “[Edwards] era il più grande esponente di una spiritualità rigogliosa, pervasiva e irradiante” (citato in Jonathan Edwards, xvii). Dietro la grandezza del suo pensiero c’era la grandezza della sua anima. E la sua anima era grande perché era ricolma della pienezza di Dio. Ai nostri giorni abbiamo bisogno di vedere il suo Dio—e l’anima che ha visto questo Dio.
Matrimonio e la chiamata al ministero
Jonathan Edwards nacque il 5 ottobre del 1703 a Windsor, Connecticut. Era l’unico maschio tra gli undici figli di Timothy Edwards, il pastore della congregazione locale. La tradizione vuole che Timothy dicesse che Dio lo aveva benedetto con una dozzina di figli. Insegnò il latino a suo figlio quando Jonathan aveva sei anni e lo mandò a Yale a dodici anni. L’istituto aveva quindici anni all’epoca e faceva fatica a stare a galla. Ma per Jonathan divenne un luogo di grande stimolo intellettuale e di crescita.
Edwards si laureò a Yale nel 1720, pronunciò il discorso di commiato in latino e poi continuò gli studi per altri due anni mentre si preparava per il ministero. A diciannove anni, ottenne la licenza per predicare e prese il pastorato presso la Scotch Presbyterian Church di New York per otto mesi, dall’agosto del 1722 all’aprile del 1723.
Nell’estate del 1723, tra il suo primo breve pastorato e il suo ritorno a Yale, si innamorò di Sarah Pierrepont. Quattro anni dopo, il 28 luglio 1727, si sposarono. Lui aveva 23 anni e lei 17. Nei 23 anni successivi, ebbero undici figli, otto figlie e tre figli.
Nel 1727, Edwards divenne il pastore della prestigiosa chiesa di Northampton, una chiesa che avrebbe servito per i successivi 23 anni. Era una chiesa congregazionalista che nel 1735 contava 620 membri. Durante il suo ministero in questa chiesa, Edwards esponeva regolarmente due volte alla settimana le sue predicazioni (di due ore), faceva il catechismo ai bambini, faceva consulenza alle persone in privato e trascorreva tredici o quattordici ore al giorno nel suo studio.
Risveglio nella foresta
Con tutto il suo razionalismo, Edwards aveva in sé una sana dose di romanticismo e misticismo. Scriveva nel suo diario: “A volte, nei giorni di festa, mi trovo più particolarmente disposto a considerare le glorie del mondo che non a dedicarmi allo studio di una fede seria” (citato in Marriage to a Difficult Man, 22). Edwards credeva davvero che “i cieli dichiarano la gloria di Dio” (Salmo 19: 1). Egli descrive così una delle sue esperienze in mezzo alla natura:
“Una volta, mentre percorrevo la foresta a causa della mia salute nel 1737, dopo essere sceso da cavallo in un luogo nascosto, come di solito faccio, in cammino per contemplare e pregare Dio, ebbi una percezione straordinaria della gloria del Figlio di Dio, come mediatore tra Dio e l’uomo, e della sua meravigliosa, grande, piena, pura e dolce grazia e del suo amore e della sua tenera e dolce condiscendenza. Questa grazia che appariva così calma e dolce, appariva anche grande al di sopra del cielo. La persona di Cristo è apparsa ineffabilmente eccelsa, con un’eccellenza tanto grande da inghiottire ogni pensiero e concezione—che continuò, per quanto posso giudicare, per circa un’ora; il che sfociò per la maggior parte del tempo in un fiume di lacrime, piangendo ad alta voce.
(Memoirs of Jonathan Edwards, xvii)
Con tali riflessioni, non è difficile credere alle parole di Elisabeth Dodds quando disse: “L’immagine leggendaria che lo raffigura è quella di un teologo severo”. Era in realtà un tenero amante e un padre i cui figli sembravano veramente affezionati a lui”.
(Marriage to a Difficult Man, 7).
I limiti della pietà
Ci sono altri aspetti della vita di Edwards che non si adattano alla sua “immagina leggendaria”, anche quando si amplia il campo visivo per vedere la sua dolcezza. Ad esempio, la libertà di Edwards dal conformismo del mondo decaduto non includeva la libertà dalla schiavitù. L’eliminazione della schiavitù nel corpo di Cristo, che Dio aveva indicato nel Nuovo Testamento (Matteo 7:12; 23:8-12; Romani 10:12; 1 Corinzi 12:13; Galati 3:28; 5:14; Filippesi 2:3-4; Colossesi 3:11; Filemone 16; Apocalisse 5:9-10), era attesa da tempo.
Edwards non la vide affatto. Nella sua mente, il Nuovo Testamento insegnava semplicemente che gli schiavi dovevano essere accolti come membri a pieno titolo nella chiesa e trattati con gentilezza e senza crudeltà. La sua “serva domestica”, Leah, fu battezzata nella chiesa di Edwards a Northampton nel 1736 e il suo nome appare nella lista dei membri a pieno titolo.
(Edwards Encyclopedia, 535).
Ci si può chiedere (e sperare) che ci fosse una prospettiva nella mente e nel cuore di Edwards che, se avesse vissuto più di 54 anni, lo avrebbe portato a pensare diversamente. È suggestivo, per esempio, che i suoi ultimi anni di lavoro tra gli indiani lo abbiano “convinto che alcuni indiani erano cristiani migliori di molti coloni bianchi che conosceva, ed egli divenne un forte sostenitore dei loro diritti” (536).
Si spera che alla fine Edwards possa aver compreso dalla verità ciò che hanno fatto altri. Per esempio, suo figlio Jonathan Jr. e Lemuel Haynes, un ex schiavo e ammiratore di Edwards, usarono la teologia di Edwards per far valere le loro convinzioni abolizioniste.
I difetti di Edwards sono parte di questioni più ampie su (1) perché i cristiani non vengono santificati più rapidamente e più pienamente, (2) come il nostro peccato e la nostra finitezza e il nostro background familiare e culturale ci rendono ciechi di fronte realtà importanti, e (3) come dovremmo imparare da “eroi” la cui vita non era del tutto esemplare. Non è questo il luogo per affrontare queste domande, ma vorrei indicarvi “Helpful message on Edwards and slavery” di Thabiti Anyabwile, e un breve video e podcast che ho fatto su questi temi.
Licenziato ingloriosamente
Nel 1750, Edwards venne licenziato ingloriosamente dal suo pastorato di Northampton a causa principalmente di un disaccordo sulla Cena del Signore. Il precedente pastore della chiesa (il nonno di Edwards) credeva che la gente potesse prendere la comunione nella speranza di ottenere la conversione attraverso di essa. Nella primavera del 1749, divenne generalmente noto che Edwards era arrivato a rifiutare questa idea. Edwards scrisse un trattato dettagliato che difendeva la sua posizione, ma il trattato venne a malapena letto, e ci fu una protesta generale il favore del suo licenziamento.
Dopo quasi un anno di stressanti polemiche, la decisione di licenziamento venne letta pubblicamente il 22 giugno del 1750. Edwards aveva 46 anni. Aveva nove figli da mantenere, il più giovane, suo figlio Pierrepont, nacque tre mesi prima del suo licenziamento.
All’inizio di dicembre del 1750, la chiesa di Stockbridge, nel Massachusetts, circa sessanta chilometri a ovest di Northampton, chiamò Edwards per considerare di diventare il loro nuovo pastore. L’8 agosto del 1751, fu insediato come pastore della chiesetta composta da coloni e indiani.
A Northampton, Edwards visse da benestante, ricevendo (secondo le sue stesse parole) “il più grande stipendio di qualsiasi altro ministro del New England”. Al contrario, a Stockbridge, prima di vendere la sua casa a Northampton, era talmente a corto di fondi che gli mancava perfino la carta necessaria per scrivere. La missione e la chiesa di Stockbridge erano afflitte da problemi che richiedevano l’attenzione di Edwards. Bisognava costruire una casa, preparare e predicare sermoni, affrontare le preoccupazioni particolari dei convertiti indiani (per esempio, la questione della lingua e che tipo di scuole offrire), riconciliare le parti, affrontare l’uso improprio dei fondi della missione. Edwards si diede a questi doveri con fedeltà.
Edwards presidente
Ma gli scopi più grandi di Dio in questa strana e dolorosa provvidenza del trasferimento di Edwards a Stockbridge, oserei azzardare, sono nel pensiero e negli scritti che Edwards ha prodotto in questi sette anni. Quattro dei libri più importanti e influenti di Edwards furono scritti negli anni 1752-1757: The Freedom of the Will, The End for Which God Created the World, The Nature of True Virtue, e The Great Christian Doctrine of Original Sin. Paul Ramsey dice che essi “non sono del tutto indegni di una lode così alta come ‘quattro delle opere più potenti e più preziose che la Chiesa di Cristo ha in suo possesso’”.
(Freedom of the Will, 8).
Quattro mesi dopo il completamento dell’ultima di queste quattro grandi opere, il 24 settembre del 1757, il genero di Edwards e presidente del Princeton College, Aaron Burr, morì. (Burr era il padre di Aaron Burr, Jr., il politico che sparò ad Alexander Hamilton in un famoso duello). Due giorni dopo, il “consiglio del college” si riunì e “fece la scelta sul signor Edwards come suo successore”. Edwards fu “non poco sorpreso” di ricevere la notizia che era stato eletto presidente di Princeton, se avesse accettato. Anche se Edwards rispose con seri dubbi, chiuse la lettera con la promessa di chiedere consiglio e di prendere la questione sul serio.
Il consiglio direttivo si tenne il 4 gennaio 1758 a Stockbridge e decise che era dovere di Edwards accettare la chiamata. Quando gli fu comunicata la decisione “cadde in lacrime per l’occasione, la quale per lui era molto insolito in presenza di altri” (Memoirs of Jonathan Edwards, clxxvii). Protestava che troppo facilmente le persone ignoravano le sue argomentazioni, ma alla fine acconsentì. La società missionaria dove prestava servizio diede il permesso, e lui partì per Princeton a gennaio, programmando di trasferire la sua famiglia in primavera.
Un Dio buono, una nube oscura
Il 13 febbraio del 1758, un mese dopo aver assunto la presidenza di Princeton, Edwards venne vaccinato contro il vaiolo. Ebbe l’effetto opposto a quello voluto. Le pustole della sua gola divennero così grandi che non poté più assumere liquidi per combattere la febbre. Quando seppe che non c’era alcun dubbio che stava morendo, chiamò sua figlia Lucy—l’unica della sua famiglia a Princeton—e le rivolse le sue ultime parole. Non ci fu alcun brontolio per essere stato preso nel fiore della sua vita con i suoi grandi sogni di scrittore non ancora realizzati, ma invece, con fiducia nella buona sovranità di Dio, diede delle parole di consolazione alla sua famiglia:
“Cara Lucy, credo che sia la volontà di Dio che io debba lasciarti in breve tempo; dona dunque il mio affetto più gentile alla mia cara moglie e dille che l’unione non comune che da tanto tempo sussiste tra noi, è stata di natura spirituale e perciò continuerà per sempre: e spero che sarà sostenuta in una così grande prova, e si sottometterà con gioia alla volontà di Dio. Quanto ai miei figli, ora sarete lasciati senza padre, il che spero sia un incentivo per tutti voi a cercare un Padre che non vi deluderà mai”.
Morì il 22 marzo del 1758. Il suo medico scrisse la difficile lettera alla moglie, che si trovava ancora a Stockbridge. Quando la lettera arrivò, era piuttosto malata, ma il Dio che reggeva la sua vita era il Dio che Jonathan Edwards predicava. Così il 3 aprile scrisse a sua figlia Esther:
“Cosa devo dire? Un Dio santo e buono ci ha coperto con una nube oscura. Oh, che possiamo baciare la verga e metterci le mani sulla bocca! Il Signore l’ha fatto, ho potuto adorarlo per la Sua bontà che l’abbiamo avuto così a lungo. Ma il mio Dio vive; e il mio cuore appartiene a Lui. Oh che eredità ci ha lasciato mio marito e tuo padre! Tutti noi siamo suoi: e io sono con lui e amo esserlo”.
La tua sempre affettuosa madre, Sarah Edwards
Il sole e l’oceano
Così si concluse la vita terrena di una persona la cui passione per la supremazia di Dio era forse insuperabile nella storia della Chiesa. La ricerca avveniva con veemenza perché sapeva cosa c’era in gioco, e sapeva che nessuna semplice conoscenza speculativa o razionale di Dio avrebbe salvato la sua anima o benedetto la chiesa. Tutte le sue energie erano rivolte a servire il vero fine di tutte le cose—la manifestazione della gloria di Dio in una visione spirituale e il godimento di quella gloria.
“Il godimento di [Dio] è l’unica felicità con cui la nostra anima può essere soddisfatta. Andare in Cielo, godere pienamente di Dio, è infinitamente meglio delle più piacevoli sistemazioni che si trovano qui. Padri e madri, mariti, mogli o figli, o la compagnia di amici terreni, non sono che ombre; ma Dio è la sostanza. Questi non sono che raggi sparsi, ma Dio è il sole. Questi non sono che ruscelli. Ma Dio è l’oceano”.
Traduzione di Andrea Lavagna.
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