“Apostasia” non è un termine che si sente tanto spesso oggigiorno. Cosa significa, in effetti? Generalmente un apostata è una persona che abbandona la propria religione, credo o partito politico per un altro. Nella nostra società pluralistica la parola richiama alla mente bigottismo o giudizio: contrasta con gli ideali multiculturali, il concetto di diritti umani, quello di libertà religiosa, ecc. Di conseguenza, anche nella chiesa si tende ad evitare l’uso di questo termine.
Nell’islam, invece, il termine è sempre in voga. L’islam si dichiara “din wa dawla”, cioè sia religione sia Stato e quindi l’apostasia assume connotazioni rigidamente politiche.
Un non musulmano è libero di accettare o rifiutare l’islam ma un musulmano NON è libero di abbandonare la religione islamica; si tratta, infatti, di un crimine equivalente all’eversione, alla rivolta, vero tradimento ed è punibile dalla legge islamica (Sharia).
Per la legge islamica tradizionale, l’uomo apostata perde ogni diritto civile e il suo matrimonio è reso nullo, viene condannato a morte sempre che non ritratti entro un determinato periodo di tempo (mentre una donna verrà incarcerata fino a quando non deciderà di ritrattare); il suo corpo, il più delle volte, non viene sepolto in un cimitero musulmano; la ricompensa delle sue buone opere è perduta, ed è destinato al fuoco eterno dell’inferno.
Tuttavia, quando il mondo musulmano era governato dalle potenze coloniali la legge islamica era caduta in disuso e la legge sull’apostasia raramente veniva applicata.
E che dire della situazione odierna, per quel che riguarda quelle zone del mondo musulmano che sono di nuovo politicamente indipendenti? La maggior parte dei Paesi musulmani ha adottato costituzioni di stile più o meno occidentale, e, sia che derivino da influenze statunitensi che da altri Paesi occidentali, spesso includono garanzie specifiche di libertà religiosa. Quindi, criminalizzare l’apostasia è un qualcosa del passato? Tutt’altro! All’inizio di quest’anno un avvocato cristiano palestinese che insegna giurisprudenza in Europa aveva scritto un articolo che dimostra che, nonostante le garanzie costituzionali, la legge sull’apostasia è ancora pienamente in vigore.
Il codice penale di un Paese, per esempio, può non citare niente in merito alla punizione del reato di apostasia, ma la legge sull’apostasia viene ugualmente applicata. Per la legge islamica, qualsiasi musulmano può trascinare in tribunale un apostata e se non viene fatto nulla, altre autorità gli danno l’autorizzazione di applicare da sé la legge ed eseguire la sentenza (riservata agli apostati).
I governi musulmani, sotto la crescente pressione da parte dell’islam radicale, spesso sono contrari a processare questi assassini. Quindi, in un modo o nell’altro, le persone vengono sempre più spesso giustiziate per il reato di apostasia. Non solo è in aumento il martirio dei cristiani di provenienza musulmana; anche la definizione di apostasia viene estesa per includere qualsiasi cosa costituisca, secondo i musulmani radicali, un attacco all’islam, sia che la persona abbia abbracciato un’altra religione sia che sia ancora formalmente musulmana. Più di un pensatore musulmano è stato assassinato per “apostasia” perché aveva contrariato alcuni gruppi radicali.
Cosa dice il Nuovo Testamento a proposito dell’apostasia? È interessante notare che il termine ricorre soltanto in 2 Tessalonicesi 2:3. In nessuna parte è considerato un crimine punibile dalla legge, e questo per il semplice motivo che Gesù aveva fatto una chiara distinzione tra il regno di Dio da quello di Cesare. Quella era un’idea veramente rivoluzionaria.
ARTICOLO IN TESTO ARABO (.pdf)
© Francesco Maggio (Ufficio Relazioni con l’Islam)
Autore e saggista, studioso del problema islamico, incluso del suo aspetto religioso, giuridico-politico, ha recentemente fatto redigere un elaborato legislativo dal punto di vista tecnico – giuridico, con proposte e normative per assicurare maggiori garanzie al mondo cristiano sul delicato terreno religioso che riguarda la comprensione dell’Islam.
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