Mentre Gesù era salito sul monte della trasfigurazione con Pietro, Giovanni e Giacomo, un uomo era in cerca del Suo aiuto, avendo un figlio “posseduto da uno spirito che lo tormentava e lo faceva gettare nell’acqua e nel fuoco”. Questo padre si era affidato ai discepoli ma senza risultato. Nel momento in cui il Maestro fece ritorno, informato di quanto accaduto, si rivolse ai Suoi definendoli “generazione incredula”. La sua attenzione fu presto rivolta a colui che aveva bisogno del suo intervento. Chiese, infatti, che gli portassero il fanciullo, il quale giunto alla Sua presenza iniziò a contorcersi a causa del demone che lo possedeva.
Ci saremmo aspettati che Gesù cacciasse immediatamente lo spirito dal ragazzo, invece si rivolge all’uomo per avere delle informazioni. Affiora un particolare: Dio si interessa del problema, ma prima ancora ha cura della persona. Dinanzi allo spirito che aveva fino ad allora maltrattato la vita del fanciullo, Gesù rivolse la sua attenzione a colui che si era preso cura del ragazzo. Spostò l’interesse dal demone tormentatore al padre amorevole. Le domande che gli rivolse evidenziano tutta l’umanità del Signore, ma anche la delicatezza e la sensibilità con cui si presta cura ad un uomo sull’orlo del collasso per l’estrema sofferenza vissuta. Interpellato da Gesù, questi si spogliò mostrando le cicatrici e rivelandoGli le pene e le sofferenze viste e subite. Quell’uomo era allo stremo e lo si capisce da quello che Gli chiese: agire in loro favore perché non hanno più altra speranza. Il suo grido d’aiuto è simile a quello che ha attraversato i secoli e le generazioni, ovvero “Dio se esisti fa qualcosa!”.
Gesù gli disse: «Dici: “Se puoi!” Ogni cosa è possibile per chi crede» (Marco 9:23). Queste parole pongono l’enfasi sul credere. Credere è darGli fiducia è fare affidamento sul fatto che per certo non ci deluderà. Il padre del fanciullo però a quelle parole subito gridò con lacrime, che esprimono tutta la sofferenza: «Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità» (Marco 9:24). L’uomo non dubitava in cuor suo, ma la richiesta puntava a vedere qualcosa di concreto. Anche Tommaso, dopo la resurrezione di Gesù, non mette in dubbio ciò che i discepoli hanno visto, ma esprime il bisogno di guardare con i suoi occhi per credere. Quest’uomo non fece altro che ribadire la necessità di vedere per credere, perché la fede ne necessita. Chi ha fede nel Signore ha necessità di vedere. Il Signore chiama beati quelli che credono senza vedere. Sicuramente questi hanno ottenuto dopo aver confidato. Anche noi, pur non avendoLo visto, abbiamo creduto e ci siamo scoperti cambiati. Una fede che non vede è morta.
Gesù aveva chiesto ai discepoli di portare il ragazzo, che era lì che si rotolava a terra mentre il padre parlava Lui. Può apparire singolare, ma intento di Cristo era intrattenersi con l’uomo, aiutarlo a trovare la fede in Dio. La sua richiesta di soccorrerlo nell’incredulità era anche dovuta al fallimento dell’azione esercitata dai discepoli, i quali non erano riusciti a fare nulla. Questo inciso ad insegnarci che nessun essere umano, sia esso un pastore, un presidente o altra persona illustre, potrà deluderci. La nostra fede deve poggiare solo su Dio.
Il Signore vedendo accorrere la folla sgridò lo spirito, perché Egli è superiore ad ogni opposizione malefica. Paolo, nell’epistola agli Efesini, ci ricorda che quell’autorità che manifestò l’ha data a tutti noi e che ci ha posto a sedere sul Suo trono, collocando i nostri piedi sulle potestà celesti. L’azione e l’autorità esercitata da Cristo oggi appartengono alla chiesa. Il fanciullo cadde a terra come morto e la folla lo diede per spacciato. Anche a noi succede lo stesso, siamo dati per sconfitti quando spostiamo lo sguardo su Gesù. Però quello che appare agli altri non è ciò che Dio vede perché i nostri pensieri non sono i suoi pensieri e le nostre vie non sono le Sue. Mentre aveva aperto già il cuore del padre ora prese per la mano il fanciullo e lo fece alzare. L’opera era completa e l’uomo, avendo visto quanto Egli aveva appena compiuto, credette.
La nostra fede non può rimanere cieca. Nel Vangelo incontriamo Bartimeo (Marco 10:46), un cieco, che grida pietà come il padre del fanciullo. Gesù gli chiese cosa voleva gli si facesse e lo esaudì. Quelli intorno lo calunniarono per il suo essere, ma egli replicò loro che era cieco ma ora aveva creduto e vedeva. La fede è misericordiosa e raccoglie sempre, perché Dio è benevolo e ricco di compassioni, sa ciò di cui abbiamo bisogno. Quel granello di senape della nostra fede è sufficiente a farci vedere la gloria di Dio, perché Egli è lo stesso e non muta.
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Una meditazione sul tema: Ogni cosa è possibile per chi crede (Marco 9:14-28)
Elpidio Pezzella | Elpidiopezzella.org
Foto di Sonja Mildner, www.freeimages.com
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