I pesci del mare di Seattle sono imbottiti di antidolorifici e antidepressivi. Non so se abbiano fatto le analisi anche ai pesci europei, ma non credo stiano meglio (di certo so che le acque della Senna sono inquinate dai residui organici della pillola anticoncezionale, ma di questo i manifestanti con Greta ovviamente non si occupano, almeno a giudicare da certi cartelli elegantissimi visti in giro, tipo destroy my pussy, not my earth). Comunque, dell’elevato consumo di antidolorifici e antidepressivi non mi preoccupa certo l’aspetto ecologico, che in questo caso è del tutto collaterale. Mi preoccupa che in un mondo che non ha il senso della sofferenza, e per questo, quando la incontra cerca di anestetizzarla, non sempre la Chiesa sia profetica e decisa nell’annunciare la sconvolgente verità che la sofferenza è l’unica cosa che ti possa salvare dalla morte.
Il compito della Chiesa italiana, in questa battaglia contro l’eutanasia, non doveva essere, secondo me, quello di cercare di contribuire a elaborare una legge ragionevole, di trovare equilibri accettabili, probabilmente anche a causa di relazioni politiche da mantenere, non serviva mettersi a parlare di attenuazione e differenziazione delle sanzioni dell’aiuto al suicidio. Perché quando facciamo politica in questo modo diventiamo grotteschi.
La Chiesa, ormai ininfluente nello scacchiere politico, sempre più liberata, finalmente, del fardello del potere, dovrebbe tornare a essere profetica. La Chiesa, anche adesso che non tocca più palla, anzi, proprio adesso, è l’unica che annuncia all’uomo che la sofferenza non solo non è una sfiga, non è una maledizione, ma è il nostro tesoro più prezioso, è l’unica cosa di cui possiamo gloriarci, è la nostra speranza di vita eterna. Noi non crediamo in un Dio pagano che ti manda bene tutte le cose, che ti fa stare bene, che ti esaudisce i desideri, che ti fa avere successo. E’ una parola che non capiamo proprio, quella di Gesù Cristo crocifisso, è uno scandalo e quindi continuamente cerchiamo di rimuoverlo, di sistemarcelo, usando i simboli della nostra fede per aggiustarci un mondo ordinato e ragionevole, rassicurante, dove se io sono bravo e dico le preghiere, tutto va come dovrebbe.
Effettivamente il male e la sofferenza sono un mistero, solo questo possiamo dire a chi c’è dentro. E dobbiamo ragionarci prima che arrivi anche per noi, perché quando ci siamo dentro, alla sofferenza, non è facile capire. La sofferenza è un mistero, ma Dio è Padre e fa bene tutte le cose: è questa l’unica cosa che si può dire a chi soffre. E’ un mistero, ma fidati di Lui, non avere paura, è davvero l’unica cosa da dire. Quella da fare invece è aiutare come possibile chi ne sta portando il peso. Non solo alla fine della vita, ma per tutti i lunghi anni in cui, per esempio, una famiglia si tiene il carico della disabilità, della depressione, della povertà. Anche le azioni non sono negoziabili, non solo i principi (io sui principi sono preparata, sulle azioni diciamo che ho un ampio margine di miglioramento).
Non so che legge verrà fuori, adesso, dopo la sentenza della consulta, ma penso che noi cristiani dovremmo provare a proporre un referendum abrogativo, certi di essere sconfitti, ma non importa. A qualsiasi costo. Quello che conta è provarci, essere una voce profetica. Perché il mondo è immerso nel dolore, e c’è solo una cosa peggiore di vivere nel dolore: non capirne il senso. Noi cristiani, se siamo credibili, possiamo essere quelli che aiutano gli altri a trovarlo. Solo chi è certo che il Padre ci ama, tutti, ha una parola da dire: fermati, la tua vita non è solo tua, tu sei un bene per me. Quando uno si sta buttando da un ponte basta essere umani per dire fermati, e infatti i passanti lo fanno, la polizia accorre. Poi però per prendersi davvero carico di lui serve un vero cristiano. Ricordando che la battaglia contro l’eutanasia potrà finire, spero, nelle piazze, ma deve iniziare facendoci carico di una qualche sofferenza che ci troviamo vicina, perché la vita è sacra sempre, dall’inizio alla fine, e soprattutto nel mezzo.
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