Computer portatili, tablet, smartphone: difficile farne a meno nella vita di tutti i giorni.
(Agnès Morel) Dall’anno scorso un nuovo termine ha fatto la sua comparsa nei dizionari: la “nomofobia”, che è la contrazione di “No mobile phone phobia”, ossia la paura di essere privati del proprio smartphone. Ovvero l’angoscia che ci assale quando ci accorgiamo che non c’è campo, che la batteria è scarica o che abbiamo smarrito il telefono. E se abbiamo perso una chiamata? Un’e-mail? Uno scoop? Si stima che un utilizzatore su due sia “dipendente” dallo smartphone e che guardi il suo schermo in media 200 volte al giorno!
Fermare tutto
Che fare? Partire con un’organizzazione come l’agenzia turistica Out of reach che propone di disconnettersi per il tempo di un soggiorno in albergo o in mezzo alla natura? Ma due o tre settimane di disintossicazione dal digitale sono davvero sufficienti? No, risponde lo psichiatra francese Laurent Karila: “Una cosa così non ha senso. Funzionerebbe per la durata della pausa, ma non a lungo termine”. Tanto più che oggi questi strumenti ci permettono di comunicare, lavorare, circolare, giocare, organizzare la nostra agenda, fare acquisti, leggere il giornale, scattare fotografie e così via. Tutte funzioni di cui non possiamo più fare a meno.
Tempi e pause
Ciò che il medico raccomanda è di “pianificare regolarmente piccole pause, cominciando dalle ore serali o dal weekend, durante le quali non ci si connette”. Ideale per godersi appieno una passeggiata, un gioco con i figli, una cena con gli amici. “Per ritrovare momenti di convivialità, senza fare più cose in una volta e quindi per guadagnare in libertà”, conferma la sociologa transalpina Catherine Lejealle.
Oltre alle fasce orarie è consigliato anche delimitare spazi senza schermo: servizi igienici, sala da bagno e anche camera da letto, “perché la luce blu emessa da questi pannelli, che assomiglia alla luce del giorno, stimola il cervello, rimanda il momento in cui ci si addormenta e riduce i tempi del sonno”, specifica Claire Leconte, docente di scienze dell’educazione e cronobiologa.
Per i più giovani
La problematica si pone in special modo per i più giovani, che trascorrono le serate tra social network, e-mail, serie e videogiochi. “Quando proprio nell’adolescenza c’è bisogno di un’ora in più sul finire della notte, altrimenti si rischia di saltare la fase REM del sonno, necessaria per l’apprendimento”, prosegue. Ma come intervenire senza che ciò sia motivo di conflitto? “Sebbene non si debba vietare tutto è importante parlarne e fissare dei limiti”, consiglia Laurent Karila. In particolare posticipando l’età del primo accesso, poi limitando la frequenza delle connessioni: “I videogiochi soltanto in determinati giorni, e non troppo a lungo”.
Bomba a orologeria
Il pericolo è quello di usare questi accessori come un “passatempo” quotidiano: “Non si sa più che fare e quindi si accende il tablet”, si rammarica Sabine Duflo, psicologa clinica che riceve “bambini che trascorrono da quattro a cinque ore al giorno davanti al loro schermo acceso, per riflesso, fin dal mattino”. Questo utilizzo è all’origine di un numero sempre maggiore di deficit di comportamento, linguaggio e attenzione. Per adulti e bambini, questa onnipresenza digitale va a detrimento del resto: dialogare, giocare, prendere un libro, fare sport, o anche annoiarsi. “Tutti hanno bisogno di tempo per fare niente: fantasticare, canticchiare, guardar fuori della finestra. È importante per l’immaginario”, riprende la cronobiologa Claire Leconte.
Tempo per se stessi
Al di là di questa pratica cronofaga – che è possibile quantificare e poi limitare – l’importante è “ristabilire un legame familiare”, spiegano gli esperti, interessandosi l’uno all’altro e persino condividendo questi schermi. Come? “Andando a giocare ai videogiochi con i figli, per passare un po’ di tempo insieme e sapere di che cosa si parla”, propone l’esperto di dipendenze Laurent Karila. Lo sforzo deve essere condiviso anche dagli adulti: il loro modello è importante. L’obiettivo: ritornare a un consumo “scelto”. Per esempio selezionando le proprie applicazioni, raggruppando le notifiche in arrivo, bloccando l’e-mail professionale. E per aiutarci a disconnetterci esistono anche applicazioni, come Space, Flipd o Offtime. (da Réforme; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)