“UOMO NON OSTENTARE LA TUA LIBERALITÀ, MA VIVI CON UMILTÀ L’ECCEZIONALE TUA ESPERIENZA CRISTIANA DELLA SOLIDARIETÀ”.
MATTEO 6:1-4
Antonio De Curtis (1898-1967), in arte Totò, è universalmente riconosciuto come il “Principe della risata”, ovvero egli è stato uno dei maggiori interpreti della Commedia italiana nel dopoguerra. Vasta è la sua filmografia e alcuni suoi film rimangono e rimarranno sempre nella memoria collettiva. Uno dei film, forse meno noto, ma ugualmente graffiante, è “Il Coraggio” girato nel 1955. In questo film Totò ha come spalla il grande Gino Cervi, il “ Peppone” del Guareschi cinematografico, il quale salva “Gennaro Vaccariello” dalle acque gelide del Tevere: è il suo venticinquesimo salvataggio, aggiungendo alla sua bacheca di casa, a mo’ di sacrario, l’ennesima medaglia al valor civile, strombazzando in lungo e in largo le sue imprese per ottenere dalla gente il plauso e il compiacimento.
L’autocompiacimento nell’esercizio della “giustizia” (Gr.dikaiosune), secondo l’insegnamento di Gesù, è particolarmente rivolto alle pratiche religiose giudaiche, le quali pratiche erano ostentate orgogliosamente dai Farisei per ottenere l’ammirazione e il vanto tra la gente.
Il cap. 6 dell’Evangelo di Matteo inizia con questa severa ammonizione del nostro Signore di stare in guardia nel momento in cui il discepolo si cimenta in quelle che sono le tre grandi prassi religiose giudaiche, ossia L’elemosina, la preghiera e il digiuno. La “giustizia maggiore” richiesta ai discepoli deve avere il suo riscontro non solo nelle rivendicazioni etiche espresse nelle antitesi, ma anche nell’esercizio delle pratiche religiose. Gesù non rifiuta la pietà giudaica, ma le conferisce una nuovo statuto spirituale, avulsa dall’autocompiacimento e dalla vanagloria. Sono temi espressi in testi strutturati in parallelo (vv.2-4;5-6;16-18) con una introduzione generale (v.1) e una lunga digressione della preghiera(7-15).
La prima richiesta della pratica religiosa priva di boriosa vanteria è quella di venire incontro ai bisogni di coloro che sono in grosse difficoltà economiche. La parola greca è “elemosune”, la quale non è quella che viene data, una volta con più frequenza, a un elemosinante che sta davanti alla porta d’ingresso di una chiesa, a un avventizio di cui non si sa niente, e, spesso, gioca sui sentimenti religiosi della gente per spillare loro dei soldi (Dobbiamo ricordare che l’accattonaggio è perseguibile oggi per legge), ma è una azione di fattiva solidarietà e concreta benevolenza verso chi è effettivamente nel bisogno, chi è caduto in disgrazia, accusando gravi problemi economici. L’eccezionalità dell’evangelo sta nel fatto che Dio è misericordioso, così anche i discepoli di Gesù sono chiamati ad essere misericordiosi. Gesù esige dai suoi discepoli che siano generosi donatori. Le sue parole condannano coloro che sono animati da egoista spilorceria. A dire il vero anche nella pratica dei Farisei era posta l’enfasi su una generosa liberalità nel donare e i Farisei e, di conseguenza, il popolo da loro ammaestrato applicavano con grande rigore tale pratica religiosa. Il problema sta nel fatto che essi strombazzavano ai quattro venti quello che di buono era stato fatto. Al contrario, Gesù vieta ai suoi seguaci di pubblicizzare le loro buone azioni. Ciò crea un problema. Precedentemente Gesù pretende dai suoi che facciano vedere le loro buone opere: “…. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli”(Mt 5: 13-16). Adesso afferma che non devono suonare la tromba quando essi praticano” l’elemosina”, ossia che la loro azione di pietà sia fatta nel segreto, di modo che la sinistra non sappia cosa faccia la destra. Sembra che vi sia una contraddizione nell’insegnamento complessivo di Gesù. Ma sarà proprio così? Non, credo. Proprio no. Gesù non condanna l’azione caritatevole veduta, ma quella che è fatta per essere veduta. Lo “Straordinario” ha una sua logica. E’ significativo quello che Bonhoeffer puntualizza: “Lo straordinario non deve essere fatto per essere visto, cioè non si deve compiere lo straordinario per se stesso, non lo si deve rendere visibile a bella posta perché sia visto. La giustizia maggiore non deve essere attuata per se stessa. Deve essere sì visibile: lo straordinario deve essere fatto ma…attenzione! Non sia fatto per essere visto…. ” (1). Chi non deve vedere ciò che deve essere visto? Certamente non gli uomini i quali l’azione di solidarietà necessariamente devono vederla. Essa deve essere nascosta a chi opera quella bella opera di solidarietà. La sinistra non deve sapere cosa fa la destra. L’azione di carità è nascosta e non deve essere visibile al discepolo stesso che compie l’azione. Bonhoeffer aggiunge: Si tratta dell’amore dimentico di sé, nel quale avviene la morte del vecchio uomo, con tutte le sue virtù e qualità. Nell’amore dimentico di sé del discepolo legato solo a Gesù Cristo il vecchio Adamo muore. Nella frase “non sappia la tua sinistra cosa fa la destra” è annunziata la morte del vecchio uomo… L’amore come atto di semplice obbedienza è la morte del vecchio Adamo, che si è ritrovato nella giustizia di Cristo e nel fratello. Non è più lui che vive, ma Cristo vive in lui. In colui che segue Gesù vive l’amore di Cristo, del crocifisso che porta a morire l’uomo vecchio… (2).
Dunque, Gesù mette in guardia il suo discepolo dal praticare la sua giustizia facendola vedere alla gente. Egli è chiamato a renderla pubblica, ma lui deve rimanere nell’anonimato. Nella esperienza religiosa del discepolo non c’è spazio per l’ipocrisia. E’ propria l’ipocrita religiosità che Gesù mette in ridicolo attraverso una vivida ed umoristica rappresentazione dell’ipocrita esperienza dell’essere religioso: “… Non fare suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini”. Non ostentare la tua liberalità, perché cadrai nel tranello dell’autocompiacimento e della ricerca dell’amore di te stesso. Il premio che ne conseguirai è quello di essere applaudito dalla gente e nulla di più, ma avrai perso la ricompensa di Dio che è il Padre Celeste e che vede nel segreto. E’ vero anche che, semmai il discepolo voglia recitare la parte del “buon Samaritano” e voglia distogliere lo sguardo dalla pubblica approvazione di se stesso, comunque può ingannare se stesso e anche la gente, se cercasse un segreto, borioso vanto per la buona opera che ha compiuto. In entrambi i casi il discepolo è un ipocrita. Questa parola ha un forte significato semantico. E’ una parola che deriva dalla parola greca “hupokrites”, che significa attore. In origine tale parola significava colui che recita in teatro. Figuratamente la parola è applicata a tutti coloro che recitano nel palcoscenico della vita. L’ipocrita è colui che esce fuori da se stesso e recita una parte, nascondendo la sua vera identità. Gesù, usando questa vivace parola, denuncia la condotta di quel discepolo, che non si discosta affatto da quella
dell’ “autorevole” rappresentante della leadership del popolo giudaico, il quale vuole ingannare Dio nella sua azione caritatevole, facendo credere che essa è fatta per onorare il Signore, ma che in realtà è una goffa azione di autocompiacimento di se stesso: prevale ancora la regalità dell’ “Io” che quella di Dio, per la quale la buona azione è compiuta. Nel gergo popolare questo strano, grossolano, ridicolo modo di agire che auto-esalta “il trombettiere di fanfare” viene definito “carità pelosa”.
Al contrario, se il discepolo è alla sequela di Gesù e per il quale ha abdicato alla signoria di se stesso,accettando con letizia la regalità di Gesù, egli agisce nell’assoluta libertà che il Signore gli dà, affinché il suo pensare e il suo agire siano finalizzati nel rendere visibile la giustizia di Dio (dikaiosune theu) e ad ottenebrare se non ad annichilire la propria giustizia, la quale viene nel secolo presente ostentata con magna pompa, con pubbliche onorificenze e con rumorosi riconoscimenti.
Il donare del discepolo di Gesù è fortemente marcato dal sacrificio di se stesso e dall’oblio di se stesso, e non dall’autocompiacimento e dall’autoesaltazione.
“In che cosa consiste l’unità tra la visibilità e la segretezza nell’azione di chi segue Gesù? Com’è possibile che la stessa cosa sia contemporaneamente visibile e segreta? …
Lo straordinario, il visibile è la croce di Gesù, sotto la quale stanno i discepoli. La croce è allo stesso tempo il fattore necessario, segreto e quello visibile, straordinario”…
Non devi conoscere il bene che fai, altrimenti è il bene che fai tu, ma non quello che viene da Cristo. Il bene di Cristo, il bene fatto seguendo Gesù è fatto inconsapevolmente. La sincera azione d’amore è sempre opera a me nascosta. Badate a non essere coscienti… Questa cecità, o meglio questo sguardo del seguace illuminato da Cristo è la sua certezza. Il fatto che la sua vita resti nascosta a lui stesso è la promessa a lui fatta.” (1)
(1) Dietrich Bonhoeffer-Sequela- Queriniana ed, Bs, 1975, pag. 137
(2) Cit.pag. 140
(3) Op. cit., pag. 138-139
Paolo Brancè | Notiziecristiane.com
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