La “tassa sulla solidarietà”, cioè il raddoppio dell’Ires sulle associazioni non profit, sarà cambiata. Ma già l’averla proposta è rivelatore della logica con cui ragiona il governo Conte: sì ai sussidi e alle pensioni di Stato, ma no al volontariato, privato, che aiuta i più bisognosi. E’ l’opposto del principio di sussidiarietà.
L’hanno già ribattezzata “tassa sulla solidarietà”. Bene hanno fatto il premier Giuseppe Conte e uno dei suoi due vice, Luigi Di Maio, a preannunciarne l’imminente modifica, ma tutto ciò non basterà a placare le ire del mondo del volontariato. C’è più che altro da chiedersi come abbia potuto fare l’esecutivo a partorire una misura così impopolare, oltre che disarmante.
Raddoppiare l’Ires al mondo del “non profit” per portarla al livello delle società che producono a scopi di lucro è una delle trovate più bizzarre dell’anomala maggioranza giallo-verde, che ha inserito questa novità nella legge finanziaria in via di approvazione definitiva alla Camera. Per cambiarla ora si rischierebbe l’esercizio provvisorio, si è difeso il leader pentastellato, e quindi se ne riparlerà a gennaio, con un atto ad hoc di modifica. Il beneficio per le casse dello Stato, qualora il raddoppio dell’Ires al “non profit” restasse così com’è, sarebbe di appena 118 milioni di euro: briciole, se paragonati agli sprechi fatti già nei primi sei mesi di governo da alcuni ministeri e ai soldi che il governo intende elargire sotto forma di reddito di cittadinanza e pensione di cittadinanza.
Fa sorridere che la stangata sul volontariato sia stata motivata dalla necessità di colpire i furbetti della solidarietà, che pure ci sono, mentre i pentastellati rassicurano i cittadini sul fatto che tra i beneficiari dei sussidi in arrivo non ci saranno parassiti e approfittatori. I cittadini dovrebbero quindi stare tranquilli sul fatto che il reddito e la pensione di cittadinanza andranno esclusivamente a persone davvero bisognose mentre dovrebbero diffidare di tante associazioni di volontariato che dicono di perseguire il bene e in realtà fanno gli affari propri. E’ questo il messaggio perverso e diseducativo che il governo in carica sembra lanciare all’opinione pubblica, alimentando un clima da caccia alle streghe all’interno di un mondo, quello del volontariato, in cui tanti giovani e meno giovani dedicano il loro tempo gratuitamente al prossimo. Si pensi ai disabili, ai malati, ai minori maltrattati, alle donne in difficoltà, agli orfani, ai poveri e a tutte le categorie di persone più sfortunate: aumentare la tassazione a chi si occupa di loro è come aumentarle a loro e a tutto l’indotto. Un governo che annuncia di voler abolire la povertà può pensare anche soltanto per un secondo di varare misure del genere?
Il governo, come detto, potrebbe fare marcia indietro anche su questo, rimangiarsi tutto e ripristinare quel 50% di sconto sull’imposta sul reddito delle società “non profit”, che lo Stato riconosce loro dal 1953. Quello che fa rabbrividire, però, è la filosofia che sottende un orientamento del genere. La visione che ispira decisioni simili è ideologicamente statalista e centralistica: lo Stato è in grado di assicurare da solo il benessere dei cittadini e può fare a meno di tutti i corpi intermedi, che da decenni in verità sopperiscono alle carenze dello Stato stesso, attraverso attività meritorie di assistenza agli ultimi. Quelle organizzazioni benemerite sono superflue perché il cittadino può rapportarsi direttamente al governo centrale per soddisfare ogni suo bisogno, senza l’intermediazione di associazioni ed enti privati.
E’ l’idea opposta rispetto a quella del governo Berlusconi che, nel 2003, con un consenso bipartisan, aveva varato il 5 per mille, emblema di una sussidiarietà in grado di esaltare il contributo dei cittadini e di potenziare il terzo settore. Quella novità contribuì a valorizzare la creatività individuale anche nella solidarietà e nell’aiuto agli ultimi, mentre l’incremento della tassazione per le organizzazioni di volontariato deciso dal governo Conte risponde a una logica opposta: rafforzare il ruolo assistenziale dello Stato, anche a costo di incrementare il già esoso debito pubblico.
Ecco perché non è da considerarsi preoccupante soltanto l’idea in sé di aumentare l’Ires sul “non profit”. C’è da sperare che quel modello non venga applicato ad altri ambiti della vita sociale, compresi quelli della parità scolastica e della sanità privata, nei quali almeno la Lega dovrebbe evitare di dimenticare le sacrosante aspettative del suo elettorato, soprattutto quello del nord.