Ruth Yorstan è cresciuta in una famiglia favorevole all’aborto: suo padre aveva pubblicato editoriali pro aborto e sua madre aveva partecipato alle marce femministe per ottenere il “diritto” all’aborto e aveva poi accettato di lavorare in una clinica abortista.
Terminate le scuole superiori, la madre chiede alla giovane se voleva lavorare con lei nella clinica e Ruth accetta con slancio. Dirà poi: «Una volta ho detto che ho accettato il lavoro senza pensarci due volte. La verità è che ho preso il lavoro senza pensarci una volta…».
Il suo ruolo era quello di accogliere le donne che si rivolgevano alla clinica per abortire: farle sedere, offrire loro qualcosa da bere… insomma, cercare di metterle a loro agio.
E questo Ruth faceva, nella più totale incoscienza di cosa si compiva al piano inferiore della clinica dove lavorava. Di fatto, si rendeva complice dell’aborto senza neanche sapere chi questo uccide e come questo avvenga. E il paradosso è che questa sua occupazione non destava alcuna perplessità neanche tra le persone della chiesa che frequenta: nessuno le muove obiezioni, forse perché nessuno era formato rispetto al valore della vita nascente. Si parlava del fumo, delle imprecazioni e di molte altre attività “proibite”, ma non si era mai approfondito il tema dell’aborto…
Un aspetto, questo della formazione in seno ad ambienti di fede, che è spesso mal affrontato anche da noi in Italia, per via di una confusione dottrinale di fondo, mista alla tendenza ad “adeguarsi” al mondo: quanti uomini di fede, oggigiorno, parlano della castità? O si esprimono in maniera netta sulla convivenza? O, ancora, illustrano la dottrina in tema di contraccezione e di procreazione responsabile? Fino a giungere, purtroppo anche in chiesa, a giustificare l’aborto “in casi estremi”, nonostante il comandamento «Non uccidere» sia abbastanza esplicito.
Tornando a Ruth, a salvarla è stato un giovane che aveva cominciato a frequentare, il quale – una volta venuto a conoscenza del luogo dove lavorava – non l’ha stordita con lunghi discorsi dal tono moralistico, bensì le ha semplicemente dato un libro contenente alcune foto di un essere umano nelle varie fasi della gestazione. Le ha insomma mostrato la realtà sull’aborto puntando sul valore oggettivo di ogni singola vita.
Di fronte a quelle immagini, la giovane ha aperto gli occhi e non ha potuto fare a meno che chiedersi: «Che cosa ho fatto?».
Oggi Ruth Yorstan porta nel mondo la sua testimonianza contro l’aborto: occorre dire la verità sulla vita e non mancare di testimoniare in tal senso, anche se è difficile, per far aprire gli occhi a tante persone assuefatte dal clima mortifero che ci avvolge. Ogni esitazione nella difesa della vita, ogni silenzio – afferma oggi Ruth – è un cedere all’aborto, equivale a favorire la morte.
Qui una testimonianza video di Ruth Yorstan.
Teresa Moro
Fonte: Live Action
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