Performance, produttività, efficienza ed efficacia, pare siano i parametri del concetto in voga da un pò di anni a questa parte nella nostra cultura, secondo la dicitura di Empowerment, termine che indica un processo di crescita, individuale e di gruppo basato sull’autostima, sull’autoefficacia, sulla capitalizzazione di se stessi.
Termine caro alle grandi multinazionali del potere economico strutturato sul profitto. Diventa inevitabile un conflitto di paradosso tra i processi di umanizzazione e la produttività. Tagliare le risorse di personale, ad esempio, in una azienda per rientrare nel bilancio, può far perdere di vista le adeguate risposte dell’utenza. Personalmente non sono nella capacità politico- economica di analizzare il come fare, ma come uomo di fede cristiana mi chiedo a quale umanità porti questo stato di cose? Se tutta l’antropologia cristiana è basata sul reciproco rispetto. Come psicologo non posso non riflettere ad una società orientata all’apparenza, alla cultura del self help, all’immagine di perfezione nonché al narcisismo imperante. Dal punto di vista del clinico psicoterapeuta non mi sono indifferenti le voci dei clienti che parlano attraverso un’immagine di se “grandiosa”, “ipertrofica” e poco aderente al principio di realtà, di freudiana memoria (P. Riccardi, Ogni vita è una vocazione, per un ritrovato benessere. Ed Cittadella Assisi, 2014). E’ possibile che siamo diventati drogati dello stesso Io, della stessa immagine di se che spesso trova riscontro nel bisogno di connessione (di P. Riccardi in https://www.notiziecristiane.com/bisogno-di-connessione/). Si parla di bisogno di connessione allo stesso modo in cui si ha bisogno di cibo per sopravvivere. Sappiamo da studi scientifici come la privazione di un bisogno porti delle conseguenze psicopatologiche. Oggi si parla di dipendenza psicologica dal cellullare e/o dal pc che in se rappresenta il bisogno di essere connessi alla rete, ai Social Networks con tutti i molteplici sintomi e conseguenze negative a tali dipendenze. Si parla di sindrome da disconnessione, NOMOFOBIA dall’inglese No-mobile, non essere collegati. Il semplice passatempo, il semplice piacere lascia il posto al “bisogno di connessione” teso non a vedere l’altro come confronto ma presentarsi all’altro secondo un’immagine di se idealizzata. Non è un caso che le foto delle persone in molti profili sono attinenti non alla realtà ma ad un passato. La sopravvalutazione di sé è probabilmente una delle patologie esistenziali e psicologiche che passano inosservate nel mondo occidentale di oggi, ma non al maestro per eccellenza, Gesù Cristo, che già 2000 anni fa ne evidenzia i rischi, attraverso il discorso della montagna «beati i poveri in spirto» (Mt 5,3). Per un approfondimento psicologico delle beatitudini come sistema di psicoterapia per l’uomo di oggi, P. Riccardi, Psicoterapia del cuore e Beatitudini ed. Cittadella Assisi, 2018). Perciò se davvero vogliamo stabilità, equilibrio, serenità il primo passo è analizzare il se stessi, attraverso i parametri di quello che si è. Divieni ciò che sei suggerisce il filosofo Nietzsche (F. Nietzsche, Come si diventa ciò che si è., Ed Feltrinelli, 2014). E in 1Timoteo 4 si legge «Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano».
Al di là delle proprie concezioni religiose, filosofiche o psicologiche i moniti sono emblemi di una saggezza antica atta a valorizzare se stessi per realizzare il meglio per se e non per quello che altri vogliono. Dobbiamo essere attenti a quello che lo psichiatra viennese V. Emil Frankl ha affermato nel dire che l’uomo o fa quello che gli dicono di fare il che è totalitarismo o si comporta come si comportano gli altri ed è il conformismo (V. Frankl, teoria e terapia delle nevrosi ed. Morcelliana 2001).
Mi piace, come psicologo e psicoterapeuta, ma soprattutto come cristiano, citare il rabbino ebreo Hillel (Babilonia, 60 a.C. circa – Gerusalemme, 7) che in punto di morte era sorridente e il suo discepolo incredulo gli chiede: «maestro, ma sei in punto di morte e sorridi? Risponde: «sì, perché dopo tutto Dio non mi chiederà se nella vita mi sono comportato come Mosè, ma se sono stato me stesso».
Pasquale Riccardi
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