Il Compendio e Scrigno della Sapienza

La “Stanza della Segnatura”, in Vaticano, è una delle opere più note e grandiose di Raffaello

Sanzio, che esemplifica in modo emblematico l’idea rinascimentale dell’unità della conoscenza, “un distinguere per unire i gradi del sapere” (cfr. J.Maritain), rappresenta la collaborazione fra le diverse discipline del sapere, nell’indagine sul fondamento ultimo della realtà sia sul piano ontologico – metafisico, che sul piano del correlativo ordine “religioso”(Cfr s. Agostino, De Vera Religione). La Teologia, la Filosofia, la Poesia e il Diritto vengono raffigurate come saperi che derivano da un’unica fonte, Dio, e come le diverse vie attraverso le quali il sapere si trasmette all’umanità. Tutte le discipline umane partecipano, perciò di una sostanziale unità e condividono la medesima ispirazione. La “Stanza della Segnatura”, affrescata da Raffaello (1483-1520) fra il 1508 e il 1511, si caratterizza dunque per la forte impronta unitaria nella rappresentazione delle diverse forme della conoscenza umana. Le quattro arti liberali, infatti, la Teologia, la Filosofia, la Poesia e il Diritto, insieme e ciascuna per quanto ad essa compete, concorrono alla conoscenza della

Verità, sia attraverso la ragione e l’intuizione, sia attraverso la Religione Rivelata. In tutte si manifesta il Divino e tutte, sia pure in modi diversi, consentono all’uomo di intraprendere la via verso il Vero, il Bene, il Bello. Sotto la “Teologia” troviamo  il “Trionfo della Chiesa”. Punto focale dell’affresco è l’Ostia Consacrata, posta sopra l’ostensorio sull’altare, il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo offerto in sacrificio, per redimere i peccati dell’uomo. Sullo stesso asse, a mano a mano che si sale verso l’alto, si incontrano la colomba simbolo dello Spirito Santo.

Il Cristo, fra la Maria e Giovanni il Battista, con ai lati alcuni Profeti, Apostoli e Santi.

Infine Dio Padre benedicente fra gli Angeli. Intorno all’altare figurano, Dottori della Chiesa, uomini di fede, tutti uniti nell’adorazione. Sotto la “Filosofia, campeggia la “Scuola di Atene”. Le due figure al centro, Platone e Aristotele, incarnano in modo esemplare le rispettive filosofie. I libri che essi tengono nella mano sinistra, sono fra i più conosciuti dagli intellettuali del

Rinascimento: il Timeo di Platone descrive l’origine del cosmo e dell’uomo, indicando nel Demiurgo e Phiturgo, colui che interviene sulla materia modellandola a immagine del Bene, attraverso le forme geometriche e i numeri, e imprimendovi ordine e misura: O’ d¾ QeÕj ¹m‹n p£ntwncrhm£twnmštron ¨n e‡hm£lista, kaˆ polÝm©llon ½ poÚtij, éjfasin, ¥nqrwpoj (Platone, Leggi, 716 C). L’indice della mano destra alzato verso il cielo sintetizza la sua filosofia rivolta alla trascendenza divina, all’orizzonte metafisico, all’Uno, al Super essere, al Vero, al Bene e al Bello, cui l’uomo deve tendere. Sì Platone che rappresenta, con l’indice alzato verso l’Alto, il vertice dell’umano scibile e delle sue possibilità un “itinerarium mentis in Deum”. L’Ateniese, con “l’occhio plastico degli elleni”, non parla solo per concetti, parla per immagini e per miti: è il Michelangelo e il Raffaello dei miti. Quando si legge il mito di Er, simbolo del giudizio, o il mito della biga alata, simbolo dell’anima, o quello della caverna, che mostra le varie tappe della conoscenza umana, si avverte la stessa forza che traspare dal Giudizio universale dell’artista fiorentino come il potere di sintesi, iconografica e simbolica, che traspare dalla Stanza della Segnatura Apostolica, Opera del grande Raffaello. Ma Platone parla anche a tutti coloro che hanno una sensibilità religiosa. La parola “teologia” è stata coniata da lui, e compare per la prima volta nella Repubblica. Il discepolo di Socrate è anche il più grande teorico dell’Eros, non nel senso limitativo e sessuale, ma in quanto forza che innalza e che porta all’Assoluto attraverso la bellezza. L’Eros e il logos non si limitano all’animo umano, ma hanno una dimensione cosmica. L’Eros è il tendere di ogni cosa al Bene e al possederlo per sempre, ma ha parteciparlo anche senza invidia. E contro ogni, dissacrazione della bellezza, Platone ci comunica il bello in tutta la sua verità e profondità trascendente ed immanente. Vicino a lui,

Aristotele tiene nelle mani l’Etica, il libro che affronta il problema morale. La mano destra aperta verso il basso indica la considerazione che Aristotele nutre per il mondo dell’esperienza, per la molteplicità degli enti, tuttavia, egli mantiene come riferimento ultimo l’idea dell’ Uno-Bene trascendente che è del suo maestro e che egli condivide, nella sostanziale apertura all’orizzonte metafisico e protologico, per con una accentuazione paradigmatica ontologica. Il suo sguardo infatti, seguendo l’indice alzato di Platone, si volge all’“Idea” Suprema, all’Uno al Sommo Bene e al Sommo Bello, donde deriva la molteplicità degli esseri. Sotto la maestosa architettura della scena sono raccolti gli uomini di scienza e i sapienti dalle origini della civiltà occidentale (VI secolo a.C.), fino ai primi secoli dell’età imperiale, in atteggiamenti che ne rivelano il pensiero. In molti di loro, sono riconoscibili le fattezze di illustri uomini del tempo di Raffaello, quasi a segnare nella continuità temporale la persistenza di alcuni princìpi fondamentali, per la comprensione del mondo e dell’uomo, una straordinaria sintesi di sapienza pagana e sapienza cristiana. Sotto la “Poesia” è raffigurato il Parnaso: al centro, Apollo suona la lira presso la fonte Castalia, le cui acque infondono il dono della poesia; intorno a lui, le Muse e i poeti, con lo sguardo rivolto al cielo a cogliere l’ispirazione divina. Di fronte, sotto il “Diritto”, inteso anche come la virtù della Giustizia, la principale fra le virtù cardinali, è l’affresco delle “Virtù”: la forza, la Prudenza, la Temperanza sono raffigurate da donne che ne portano gli attributi caratteristici. Cinque genietti alati, tre dei quali rappresentano le virtù teologali, le collegano fra loro, dando il senso dell’unità della conoscenza morale. Sotto, dalla parte della “Scuola di Atene”, troviamo la celebrazione del Diritto naturale (Triboniano consegna le Pandette a Giustiniano), […]. I quattro affreschi, dunque, richiamandosi l’un l’altro, quasi a rappresentare il dialogo fra le diverse discipline della conoscenza umana, si comprendono nella bellezza e nell’armonia della sintesi, espressione dell’aspirazione del sapere alla Verità suprema che è Dio. Nel dipinto di Raffaello si realizza perciò l’ideale di un sapere universale e unitario, illuminato dalla luce della Verità suprema di Dio, della quale partecipa e alla quale tende ogni aspirazione conoscitiva dell’uomo, secondo la concezione cara alla tradizione umanistico-rinascimentale e all’ambiente culturale neoplatonico della Firenze di Lorenzo il Magnifico. Ogni disciplina è rappresentata da una figura femminile dipinta all’interno dei medaglioni della volta, che reca i simboli della rispettiva forma di conoscenza; ma sono soprattutto le scritte che accompagnano queste personificazioni a riassumerne l’idea fondamentale, sviluppata poi nel dipinto della parete sottostante: “Divinarum rerum notitia”, per la Teologia; “Causa rerum cognitio”, per la Filosofia; “Numine afflatur”, per la Poesia; “Jus suum unicuique tribuit”, per il Diritto. La nuova alleanza di Dio con l’uomo e l’inizio della realizzazione della “Civitas Dei”, sancite dal sacrificio di Cristo, trovano motivo di ispirazione anche in figure dell’Antico e del Nuovo Testamento e della storia della Chiesa, e sembrano concretizzarsi nel blocco marmoreo sullo sfondo dell’affresco, forse la “pietra angolare”, […].

© Prof. Domenico Pennino

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