Tante volte dimenticato, tante volte passato inosservato, tante volte per motivi di tempo, impegni e responsabilità da portare avanti dimentichiamo una delle grosse realtà umane: “la vita interiore”. Spesso ammessa e considerata da psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, pastori, sacerdoti, teologi di ogni confessione e appartenenza più nella descrizione che nell’esperienza. Non è nella descrizione del dinamismo psichico, caro alle scienze psicologiche e mediche, che la si possa viverla. E’ come se bastasse parlare di fede, di amore, di speranza, di conoscenza per dire di averne fatta esperienza.
L’ideologia materialista della società evoluta ha centrato sempre più una visione semplicistica della realtà interiore umana, legata più alla componente del “fare” che “all’essere”. Sempre più ci misuriamo con quanto facciamo, con quanto possediamo e sempre meno con quello che siamo, provocando, psicologicamente, un’artificiosità della vita interiore. Gesù disse ai suoi discepoli: «Guardatevi dal lievito de’ Farisei, che è ipocrisia» (Luca 12:1-3). Ora chi sono gli ipocriti? Sono coloro che recitano quando attuano un comportamento; come gli attori. E difatti il termine ‘ipocrita’ deriva dalla parola greca ‘hypokrités’ che significa ‘attore’. Gli scribi e i Farisei furono perciò definiti da Gesù ‘ipocriti’ perché nella pratica recitavano la parte dei giusti, mentre dentro erano pieni di iniquità ed ingiustizia. E’ probabile che una società che pone attenzione al “concreto” possa confondere la concretezza con il comportamento, con il fare. E non sorprende osservare che molti rinforzi, feedback al figlio, al partner, all’amico sono in reazione al suo “fare”. Quanti genitori approvano, accarezzano, lodano il solo comportamento? Ricordo sempre con vividezza l’espressione di una mia cliente quando mi affermava i rinforzi positivi della madre quando rassettava la casa, e ricordo anche l’amarezza del non essere capita nell’intenzione più che nella bravura. Semplicemente “volevo essere capita che lo facevo per lei, perché era stanca”, diceva. Alla lunga il solo comportamento approvato lascia il vuoto della componente affettiva. Lo studio dei soli comportamenti, per quanto abbiano dato spunto a nuove conoscenza psicologiche, non può trascurare il fatto che dietro di esso vi è sempre un atteggiamento. Mentre il comportamento è rivolto all’esterno, l’atteggiamento è la parte attiva della vita interiore; è il propulsore del comportamento. Allora ci si chiede cosa sono gli atteggiamenti? Mentre un comportamento è l’atto visibile, l’atteggiamento è la disposizione interiore per cui si agisce. Riguarda lo stato d’animo per cui si agisce, la componente affettiva, il vissuto emozionale, le convinzioni che muove l’agire. L’uomo moderno, eccessivamente pratico, pragmatico, concreto abituato a sentirsi ripetere che la forma del successo è l’affermazione di se confonde il comportamento con la vita interiore (P. Riccardi “Ogni vita è una vocazione, per un ritrovato benessere”; ed Cittadella Assisi, 2014). Possiamo sentire di essere in un certo modo e comportarci in modo opposto. Possiamo non essere, ad esempio, aggressivi ma comportarsi tali. Possiamo fare una carità, ma possiamo non sentirla dentro. Possiamo affermare un concetto, ma non crederci realmente. Possiamo dare la mano alla nostra amata ma dentro possiamo essere freddi emotivamente. In un ambito di dinamismo psichico chiamiamo questi processi della vita interiore scissione. Ed è bene, per chi vuole accrescere la propria dimensione interiore, chiedersi delle tante volte che si è insoddisfatti di una relazione, perché? chiedersi del come mai un altro, a cui si è dato tanto non apprezza? Come mai ci si sente insoddisfatti pur avendo le carte in regola? «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo, infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (lettera ai Romani 7, 18-19).
Con queste parole l’autore biblico esprime la scissione tra il fare e l’essere, tra il comportamento e l’atteggiamento che lo accompagna e nella incoerenza prende posto un quadro psicopatologico che porta a dire, come l’autore biblico «Me infelice!» (Lettera ai Romani 7,24).
Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com
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