Di questi giorni gli ennesimi casi di violenza di uomini che pestano a sangue, fino a uccidere. Ogni tanto c’è un caso di cronaca disumano di chi ammazza, insieme alla compagna anche i figli piccoli. Episodi che vanno sotto la voce di femminicidio, stalker, stupratori, pedofili mentre il conto delle morti aumenta.
I dati sociali parlano chiaro, secondo l’Istat, in Italia una donna su tre ha subìto una qualche forma di violenza fisica o sessuale o psicologica. Le statistiche certificano che la maggior parte dei fatti più gravi è compiuta dal partner o dall’ex partner. A uccidere, commettere violenza sono prevalentemente partner incapaci di tollerare la fine della relazione. Premesso che ogni atto che lede la libertà dell’altro è un reato punibile ai sensi di legge, ci dobbiamo interrogare sulla relazione che è la grande imputata. Più volte si è sottolineato il “disturbo della vita di relazione”, vedi articoli “L’amore come cura delle patologie relazionali del 22/11/2017 Dalla relazione all’armonia del 12 gennaio 2018 Fallimento relazionale e crisi di coppie del 22 gennaio 2018” in notiziecristiane.com. Si è rilevato come l’ISTAT, “Istituto nazionale di Statistica” nel 2015 ha trovato una correlazione tra aumento delle relazioni e instabilità di essa. Ci dobbiamo interrogare sul senso dell’instabilità relazionale che accomuna tutti. E’ un dato di fatto che le persone vivono le relazioni come un qualcosa di non statico, di fuggevole, di liquido, per affermare il principio del sociologo Bauman (2006). In una relazione, è naturale la ricerca della sicurezza ma è proprio la sensazione di sicurezza, di abbandono, di perdita che angoscia la persona, che non reggendola culmina in un acting out letale. Negli ultimi anni sempre più campagne sociali e leggi ad hoc sul femminicidio, pongono una seria riflessione su come intervenire efficacemente, perché gli autori di violenza agli occhi sociali non destano sospetti. E’ il contesto di vita che deve essere rivisto, ripensato e cambiato. Potrebbe non essere sufficiente individuare i comportamenti violenti; la psicologia, la criminologia e la sociologia clinica hanno i loro criteri di individuazione, pur tuttavia questi possono sfuggire anche agli occhi dei più attenti professionisti. Formazione e capacità di distinguere questi comportamenti è senz’altro necessario per prevenire, ma è anche necessario rivedere la cultura che si vive. Una cultura dell’incertezza, dell’indecisione, della paura della solitudine, del sospetto, della paranoia. Alle dichiarazioni di alcuni autori di reati che affermano “mi ha provocato” non c’è giustificazione alcuna, ma emerge la cultura del sospetto, della paranoia della paura, della irresponsabilità delle proprie azioni. Per cui il fenomeno non è per niente semplicistico. Alla base di ogni uomo vi è una terribile incapacità di collegarsi con il proprio mondo emotivo, per cui una elaborazione delle proprie emozioni può essere un cammino di rieducazione. Riuscire ad avviare un percorso di riabilitazione, di prevenzione serio con maschi violenti, stalker, stupratori, pedofili, assassini non è per niente semplice. Le patologie legate alla violenza è sempre legato a un istinto di morte. Si vuole uccidere, far male. Come psicologo e psicoterapeuta del profondo mi corre l’obbligo di rianalizzare quello che il grande psicoanalista Freud, nel 1920 riscopre, l’importanza dell’istinto di morte come impulso primordiale della vita psichica nel libro “Al di là del principio di piacere”.
Freud ‘scopre’ che l’equilibrio psichico è dato dal gioco tra l’istinto alla vita (eros) e istinto alla morte (thanatos) che hanno pari importanza. Nel terreno fertile di una cultura della incertezza, della paura, dell’insicurezza, della relazione liquida di Bauman, di una società che non assicura il senso stabile della vita, l’istinto alla morte prende il sopravvento. Allora non solo l’atto violento ma l’uomo totale che deve essere rivisto affinché possa verificarsi quel principio cardine della vita che è l’amore. E come cristiano mi devo interrogare. La cultura della violenza deve essere condannata, testi che condannano violenza li ritroviamo nella cultura biblica già a partire dal vecchio testamento; Dio rimprovera e respinge il re Davide per il troppo sangue versato (1 Cr 22,8). Si condanna ogni atto di violenza: “Non c’è sincerità, né amore del prossimo, né conoscenza di Dio nel paese. Si giura, si mentisce, si uccide, si ruba, si commette adulterio, si fa strage e si versa sangue su sangue” (Os 4,1-2).
Nel Nuovo Testamento abbiamo la rivincita del comandamento dell’amore, che ha come oggetto ogni uomo, persino il nemico dove la violenza non trova più posto trasformando il cuore da aggressivo a mite (P, Riccardi Psicoterapia del cuore e beatitudine ed. cittadella 2018). Trasformazione che non può avvenire se non si analizza l’uomo e il suo contesto e tutti ne siamo parte attiva.
Pasquale Riccardi | Notiziecristiane.com
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