Omosessualità, passepartout per entrare in Europa

Un cittadino nigeriano richiede all’Ungheria il diritto d’asilo perché, così asserisce, perseguitato nel proprio Paese a motivo della sua omosessualità. Il governo ungherese dispone una perizia psicologica ed esclude l’omosessualità del nigeriano.

Si apre una vertenza che arriva nelle mani della Corte di Giustizia dell’Unione europea la quale, il 25 gennaio scorso, ha affermato che le perizie sono lecite a patto che rispettino «il diritto al rispetto della vita privata e famigliare». Poi i giudici aggiungono che il consenso alla perizia non è stato dato in modo libero perché condizionato dall’esigenza di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato politico. Bella scoperta, aggiungiamo noi, tutte le richieste sono condizionate da ciò che si richiede, tanto più se in ballo c’è la sicurezza e la vita di una persona.

I giudici inoltre contestano, come hanno fatto i governi francesi e dei Paesi Bassi, le tecniche di investigazione psicologica messe in atto dagli ungheresi, basate su test predittivi della personalità. Aggiungono poi che la perizia psicologica «appare sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, dal momento che la gravità dell’ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata che essa integra non può essere considerata proporzionata all’utilità che tale perizia potrebbe eventualmente presentare per l’esame dei fatti». Si vuole in altre parole sostenere questo: la perizia provoca una grave ingerenza nella vita privata del cittadino nigeriano. Troviamo altri mezzi di prova meno invadenti per verificare il suo orientamento sessuale.

La decisione della Corte UE è interessante perché la Corte medesima si trova tra l’incudine e il martello. Da una parte abbiamo il fatto che lo stesso cittadino nigeriano indica nella propria omosessualità un motivo valido per richiedere l’asilo. Il politicamente corretto in questo caso non può che spalancare le braccia di fronte a questa richiesta. Su altro fronte però occorre dare la prova che realmente questa persona sia omosessuale, altrimenti cade ogni giustificazione per acconsentire alla sua richiesta d’asilo. Ora, sempre il politicamente corretto da tempo continua a ripeterci che qualsiasi investigazione o semplice domanda sull’orientamento sessuale di una persona è sospetta di discriminazione, adombra cioè il marchio infamante di condotta omofoba.

Ecco dunque gli equilibrismi della Corte UE: sì alla perizia ma che rispetti la vita privata della persona. Ma – ribattiamo noi – le condotte sessuali e affettive di una persona sono ciò che più di intimo compone la vita privata di una persona, e come si fa ad investigare sulle stesse senza far domande? Sì alla perizia – continuano i giudici – a patto che vengano rispettati gli standard scientifici internazionali e comunque che la perizia non sia l’unico strumento probatorio. Dobbiamo quindi supporre, ex articolo 4 della direttiva 2011/95 del Parlamento europeo, che si abbia l’obbligo di far ricorso a documenti (quali?), ad esami clinici fisici (si suppone l’ispezione della zona anale e non solo) e a testimonianze, queste ultime difficilmente reperibili.

Però le difficoltà per i giudici, sia nazionali che non, non si arrestano qui. Infatti avuta anche la prova che il cittadino nigeriano è effettivamente omosessuale occorre provare che tale omosessualità è stata la causa della privazione in patria dei suoi diritti fondamentali. La vicenda non è di poco conto perché molti immigrati si dichiarano omosessuali quando non lo sono per vedersi riconosciuto il diritto d’asilo. E dato che la prova di essere realmente omosessuali è molto difficile da avere, come testimonia questa vicenda che ha visto coinvolto il governo ungherese, l’omosessualità potrebbe sempre più diventare per molti un passepartout per prendere fissa dimora in Europa.

Tommaso Scandroglio | Lanuovabq.it

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